«Se ce l’ho fatta ad andare in scena, perché non dovrei riuscire nel resto?». Maura Ceccarelli ha 23 anni. E da quando ne ha 16 frequenta il laboratorio teatrale Piero Gabrielli. In 7 anni ha affrontato sia la maturità che il cambio di facoltà. «Tutte difficoltà che sono riuscita a superare perché sapevo che il teatro era lì per aiutarmi». Un pilastro importante nella sua vita. Che ha scoperto con un progetto nato a scuola. «Sono passati per questo laboratorio quasi 300mila ragazzi», racconta il regista Roberto Gandini che dal 1995 guida il progetto. «L’ultimo anno abbiamo avuto più di 60 laboratori in tutta Roma». Ma dal 2000 ha una sede permanente in via di San Michele 30, nel cuore di Trastevere. Qui ci accolgono gli attori: persone con disabilità (e non) che si incontrano per recitare insieme.
La storia
“Il progetto nasce negli anni Ottanta, ma non si chiamava così. Poi nel 1995 diventa il laboratorio Piero Gabrielli con la sua morte”. A ripercorrere le tappe dell’iniziativa è il regista Gandini. “Perché il teatro per aiutare i ragazzi? Il teatro si fa con quello che c’è, non con quello che ci dovrebbe essere. Così si può mettere in luce quello che sai fare invece di ciò che ti manca”.
Il timore del giudizio
Il Gabrielli si compone di un laboratorio pilota, che si svolge a Trastevere con spettacoli che poi debuttano al Teatro India o Argentina, e poi tanti laboratori decentrati sul territorio. “Portiamo i ragazzi al teatro - spiega il regista Roberto Baldassari che conduce uno di questi -. È una grande festa”. Quali giovani lo stupiscono di più? “Le superiori mi colpiscono sempre. Arrivano timorosi, hanno paura del giudizio. E durante il percorso riescono a dissolvere le paure e si crea l’ambiente giusto. Si scioglie la rigidità, ed è bello”.
L’improvvisazione e la fantasia
Fabio Piperno è al Gabrielli da 12 anni. Primo spettacolo? “‘Soffio delle camere d’aria’, facevo Polifemo e mi divertivo a urlare”. Il teatro gli piace molto. “Ho scoperto la fantasia e la capacità di inventare storie. Tra l’altro, nell’ultimo spettacolo faccio Fantasio ne 'Lo scrittojo di Pirandello'. Mi piace improvvisare”. Mentre Melissa Cahigan, 22 anni, ha scoperto “mille gioie”: tra amici, ballo e canto. “Mi è cambiata l’autostima. Ho trovato delle persone a cui appoggiarmi nei momenti più difficili”.
L’autocontrollo
Se Fabio ha scoperto la fantasia, Gabriele è invece riuscito a gestire meglio le sue emozioni con il laboratorio. “Mi ha dato autocontrollo, prima ero un terremoto. Con il Gabrielli ho imparato a dosarmi. Sono cambiato, sono più amichevole”. Lui è uno dei veterani del posto: ora ha 35 anni e ha iniziato quando ne aveva 12. Gabriele Ortenzi si avvicinato al teatro “perché voleva apparire”. Ruolo che gli piace di più? “Mi diverto a fare la befana perché è il personaggio che da me è più lontano in assoluto”.
Il dono della felicità e della speranza
“Il teatro mi ha dato felicità e speranza”.
Superare le paure
“Ho paura del buio (il teatro mi ha aiutato a superarla) e dei serpenti, quella è rimasta”. Lucia Zorzoli (per tutti “il koala” per la sua voglia di affetto) è da quando ha 12 anni che frequenta il Gabrielli. “Sono cambiata molto. Il teatro mi ha aiutata a parlare bene, sono cambiata molto". Degli spettacoli le piace il contatto con il pubblico. E poi ha un sogno. "In futuro vorrei creare anche un laboratorio tutto mio”.
L'ingresso
Come si accede al laboratorio? “Al laboratorio si accede attraverso la scuola - spiega il regista Gandini -. Tramite i progetti che il Teatro di Roma organizza con un finanziamento comunale nelle scuole. Poi, chi vuole, può proseguire con esperimenti come la piccola compagnia o i laboratori estivi”.
Non solo disabilità
Se prima il laboratorio era dedicato a persone con disabilità (perché il finanziamento arrivava dai servizi sociali), ora è l’assessorato alla cultura che stanzia i fondi. E quindi vengono accolte anche persone con altri tipi di necessità, come bisogni educativi o che hanno svantaggi dal punto di vista linguistico.
Il pubblico del Gabrielli
La maggior parte delle persone che assistono agli spettacoli preparati dal laboratorio sono alunni delle scuole. Quale approccio usare? “È un pubblico vero. Se si annoia, te lo fa capire. Per noi quindi è uno stimolo enorme. Perché loro pensano che il teatro sia noioso e noi dobbiamo farli andare via, invece, come se avessero partecipato a una bella festa”. Quale soluzione? “Inseriamo delle sorprese durante lo spettacolo. Mettiamo un attore tra il pubblico che inizia a fare chiasso (così sono disorientati) oppure ci facciamo dire i nomi e i cognomi degli studenti e li chiamiamo durante lo spettacolo”. C’è poi il gioco delle parole, che è il più riuscito. “Ce lo chiedono sempre”. Come funziona? “Ci facciamo dire delle parole e da quelle inventiamo delle storie. Così capiscono che il teatro è diverso dal cinema o dalla televisione, che è fatto lì, per te, in quel momento. Si rendono conto di aver assistito a una replica unica". Le domande più assurde? "Una volta ci hanno detto la parola “moltiplicazionale” e un'altra m****!”.
L'amore
Qui nasce anche l'amore? «Sì - svela Gandini -, ma non solo. Una donna che aveva partecipato al laboratorio (ed si era sposata con un altro che aveva frequentato anche lui il teatro) in sala parto ha avuto una sorpresa». Quale? «Che quando la ginecologa è entrata nella stanza la conosceva». Come? «Perché erano state insieme al Gabrielli!».