In ricordo di Paolo Graldi. «Il suo esempio, la libertà»

Le parole di Francesco Gaetano Caltagirone nel trigesimo per l’ex direttore del Messaggero: «Non ha mai cercato le facili soluzioni e il conformismo. E non si faceva influenzare»

In ricordo di Paolo Graldi. «Il suo esempio, la libertà»
di Mario Ajello
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Mercoledì 31 Gennaio 2024, 00:48

È il trigesimo di Paolo Graldi. E nella chiesa di San Salvatore in Lauro, con la moglie Simona in prima fila, ci sono tutti quelli che dovevano esserci. Ma non deve stupire questa cerimonia molto partecipata e intensa, a un mese dalla scomparsa di un giornalista che è stato un maestro, un padre, un fratello e un confidente (senza mai tradire la fiducia che ognuno di noi riponeva in lui, accogliente e discreto sempre) per tantissimi. Paolo, per il suo carattere generoso e vulcanico, per quel suo tratto di persona limpida e generosa, non si dimentica facilmente. E allora, eccoli qui, nella chiesa che gli era diventata cara, tutti quanti: Simona, il nipote Marco, gli amici che in certi casi sono anche personalità come l’editore Francesco Gaetano Caltagirone e Gianni Letta, gli ex colleghi di una vita, quelli più anziani, quelli più giovani che lo veneravano (per alcuni di loro lui era perfino lo stilista di riferimento: «Ah, tu vesti Armani? Quello veste Versace? Quell’altro veste sartoria francese? Io vesto Graldi!», capita di aver sentito da colleghi a cui Paolo regalava giacche, maglioni, sciarpe, insomma affetto anche sotto forma di tessuti e di calzature) e semplici passanti. 

Come una signora che ieri ha letto sul Messaggero che ci sarebbe stato questo ricordo e ha detto entrando nella chiesa affollata tra gli altri da giornalisti amici (dal direttore del quotidiano di via del Tritone, Massimo Martinelli, ad Antonio Padellaro, da Silvana Mazzocchi a Bruno Manfellotto, da Margherita De Bac a Antonello Valentini, Maurizio Caprara e altri): «Io non lo conoscevo ma ho letto sul Messaggero che oggi ci sarebbe stato un suo ricordo ed eccomi qui, affezionata a lui».

Non era difficile affezionarcisi. Ma la testimonianza che nel trigesimo l’editore Francesco Gaetano Caltagirone, parlando in chiesa, ha voluto lasciare, oltre che insistere sulle qualità umane di Graldi è rivolta in avanti. Come dev’essere qualsiasi forma di cordoglio per un personaggio il cui valore non si esaurisce in ciò che egli è stato, ma si proietta in quello che lascia al Paese in cui ha vissuto e operato. Insomma, la forza di Graldi come esempio: ecco il senso della testimonianza, asciutta, di Caltagirone. 

«Paolo non c’è più», è l’incipit. «Mi piace ricordarlo per le cose buone che ha fatto», prosegue Caltagirone, che di Graldi è stato amico per tanti decenni. Profonda malinconia? Ma certo. Tanti ricordi, oltre che professionali anche di vacanze e di conversazioni? Tra amici è così. Però, la tensione costruttiva di un imprenditore è quella che lo porta a cogliere nelle persone e nelle cose il loro carattere innovativo o comunque non stantio, non fermo, non conformista, non “seduto” ma dinamico. E Paolo era per eccellenza un uomo biodinamico, anche quando la malattia lo avrebbe dovuto ripiegare: ma figuriamoci! «Bisogna guardare al suo esempio - spiega Caltagirone - e ai messaggi che ci ha trasmesso. Era un uomo libero, una persona che non si faceva influenzare». E ancora: «Mai cercava il conformismo e le soluzioni facili». E già in questo c’era in Paolo una sorta di contrapposizione civile - non sbandierata perché lui non era uno sbandieratore o un agit prop - rispetto a molto giornalismo andante. Che venera se stesso, scostandosi da quelle pratiche di umiltà e di pazienza - «Guai a scimmiottare i pensieri ricevuti», è stata una lezione graldiana - che dovrebbero essere invece il suo ubi consistam. 

«Era un uomo mai venale», incalza Caltagirone che prima di andare al microfono era seduto nelle prime file insieme a Malwina Kozikowska. E da italiano importante ma atipico, Graldi era anche una persona - nel ricordo di Caltagirone - che non si lamentava mai, neppure quando era malato. «In questo mondo di gente che piange sempre - osserva Caltagirone, e in effetti la lagna è un carattere nazionale da cui Paolo era lontanissimo - lui aveva l’ottimismo della volontà. Era sempre costruttivo». 

L’ANOMALIA

La sua meravigliosa anomalia, ciò che lo ha reso speciale, sta proprio in questa forza di non adagiarsi in una mediocrità recriminante. Anzi di sfidarla ogni giorno, anche quando si sentiva fisicamente debole ma intellettualmente non lo è stato mai. Possiamo assicuralo e possono testimoniarlo tutti quelli che ieri erano in chiesa con don Pietro che ha recitato la messa: da Leonardo Caltagirone e la moglie Aura a Albino Majore con Ella, da Raffaele Ranucci a Gabriella Farinon, da Giulio Maira a Cecilia Nisticò, da Paolo Scotto agli altri. Il senso del dovere che aveva Paolo è stato un suo segno distintivo. «Il dovere - così ragiona l’editore Caltagirone - ti obbliga a fare cose non gradevoli e Paolo non si è mai tirato indietro». Questo, e non solo questo, è stata la sua forza, il suo coraggio e l’insegnamento che lascia.

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