Rieti, donna scomparsa: l’assurdo bavaglio e l’interesse pubblico della notizia

Silvia Cipriani
di Fabrizio Colarieti
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Giovedì 8 Settembre 2022, 00:10

RIETI - Siamo arrivati al paradosso. Inquirenti imbavagliati da una norma. Investigatori intimoriti e indagini in affanno. Qualcosa che accade un po’ ovunque, sia chiaro. 
La scorsa settimana, ad esempio, in Calabria, non è passata inosservata l’uscita del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, a commento dell’ultima inchiesta sulla ‘ndrangheta che aveva appena portato all’arresto di oltre 200 persone: «Se parlo mi indagano». Il magistrato, da anni in prima linea contro le ‘ndrine, ha duramente attaccato la legge Cartabia e l’impossibilità di fornire dettagli sull’inchiesta al fine di evitare di essere indagato o sottoposto a procedimento disciplinare. 
Ha ragione. I pm non possono più parlare. Poliziotti, finanzieri e carabinieri neppure. E così, come accade sempre più frequentemente, il diritto di cronaca - ma, in particolare, l’interesse pubblico di una notizia - finisce contro un muro di gomma. Risultato: una volta gli investigatori brancolavano nel buio da soli, ora in compagnia dei cronisti. 
È il caso della scomparsa dell’ex postina di Contigliano, Silvia Cipriani. Ad indagare - con l’ipotesi di omicidio volontario e occultamento di cadavere - è la Mobile di Rieti, coordinata dal pm Lorenzo Francia e dalla procuratrice Lina Cusano. Un grave fatto di cronaca - per fortuna abbastanza raro alle nostre latitudini - che ha destato e desta particolare allarme sociale e che, dunque, richiederebbe, proprio in virtù del suo indiscutibile interesse pubblico, qualche parola in più. E tutto questo si può fare anche nelle maglie delle dissennate regole fissate dalla riforma Cartabia. Valuti la Procura, ovviamente nel rispetto del segreto istruttorio. 
Fatto sta che la stampa, quella locale soprattutto - perché quella nazionale, abituata a lavorare con i reparti investigativi d’élite, ne risente molto meno - si ritrova a fare i conti con bizzarre modalità di comunicazione: ad esempio, apprendiamo, dopo un mese, che un nigeriano è stato sorpreso a spacciare droga, oppure che un romeno ha compiuto un furto in un appartamento a Ferragosto, ma intanto è già settembre. Fatti, come il latte fresco, che scadono dopo poche ore, figuriamoci dopo settimane. Va tutto bene, ma il presunto omicidio di una donna, di cui non si sa più nulla dal 22 luglio, richiederebbe chiarezza. 
Il “massimo riserbo” è un ufficio vecchio come i tribunali, ma trattare i professionisti dell’informazione alla stregua dei ficcanaso, o pensare che questi possano passare le giornate ad attendere un’e-mail della Questura, è impensabile. 
A pensar male, diceva qualcuno, si fa peccato, ma spesso si indovina. Speriamo, quindi, che tra largo Graziosi e largo Bachelet qualcuno trovi il tempo e il modo, anche se fuori c’è in corso una campagna elettorale, di farci sapere se tra noi si nasconde o meno un pericoloso omicida e possibilmente che fine ha fatto la signora Cipriani. 

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