Rieti, Gigi Riva e l’estate del 1970 in vacanza a Ponticelli: «Giocava a bigliardino e raccontava dei Mondiali»

Gigi Riva
di Luigi Ricci
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Venerdì 9 Febbraio 2024, 00:10

RIETI - È un segreto ben custodito l’insolito rapporto che legò Gigi Riva a Ponticelli Sabino, nel Comune di Scandriglia e di cui si sa poco o nulla, come su tanti aspetti della vita del grande campione, del quale riservatezza e umiltà erano le principali prerogative.

Il luogo. Nel 1970 Riva era a Cagliari già da 7 anni e aveva appena vinto lo scudetto. Quell’anno fu inaugurata una elegante boutique - il “Bang bang”, tuttora attivo - gestita dalla bella 25enne Gianna Tofanari, il cui padre, Mario Tofanari, aveva sposato la signora Alma, imparentata con la famiglia di Massimo Bianchi, per anni consigliere dell’Università Agraria di Ponticelli. Gianna era già sposata e aveva un figlio, ma nonostante questo nacque una relazione col leggendario “Rombo di Tuono”: vicenda assai chiacchierata per la morale dell’epoca, ma tollerata per l’enorme popolarità di Riva.
Gianna divorziò ma non sposò mai il capocannoniere della nazionale da cui ebbe due figli, Nicola e Mauro, sempre tenuti lontani dalla cronaca rosa. Da metà anni ‘70, soprattutto dopo il ritiro del 1977, Riva accompagnò in estate quella che lui definì sempre “sua moglie”, quando visitava i parenti a Ponticelli, affittando una casa nella bella piazza di Santa Maria del Colle, ed è singolare che, malgrado la popolarità del campione, all’epoca non arrivò mai nessuna eco della sua presenza, come se il paese ne avesse assimilato la proverbiale riservatezza.

Il ricordo. Vito Fioroni, la cui famiglia era amica dei Tofanari, ricorda: «Riva andava al bar Mariani, nella centrale via Rieti, dove incontrava Mileno Righi e Luigino Greco, storici componenti della locale squadra di calcio, senza sottrarsi a infuocate partite a bigliardino con grandi o piccoli. Il più bello era quando in silenzio lo ascoltavamo raccontare le sue imprese, dall’incredibile scudetto del Cagliari all’epica semifinale contro la Germania ai Mondiali in Messico vinta 4-3. Riva portava i figli a giocare a pallone coi coetanei nel prato antistante il Santuario di Santa Maria del Colle, dove una volta Mauro si infortunò un piede, curato all’ospedale di Rieti. Anche Riva non disdegnava palleggiare con gli increduli ragazzi, tra cui Francesco Antonelli, oggi vigile a Scandriglia». Di tutto ciò nulla si seppe all’epoca: nessuna traccia e le rarissime foto sono irreperibili.
IL COMPAGNO DI SQUADRA
Un altro legame tra Rieti e Cagliari di Riva è quello con Emidio Di Carmine, nato ad Amatrice, scomparso nel 2023 a 71 anni, approdato in Sardegna nel 1972 grazie al tecnico reatino Manlio Scopigno, legato da irripetibile rapporto umano col grande campione, oltre a essere entrambi micidiali fumatori.

Di Carmine, il 26 novembre di quell’anno, a Torino, contro la Juventus, disputò la sua unica gara in serie A, sostituendo l’infortunato Riva, ma indossando la maglia numero 9 perché la 11 era “sacra”. Il libero del Cagliari campione d’Italia, Giuseppe “Beppe” Tomasini, ricorda: «Emidio era un bravo ragazzo, ottimo centravanti ma in quella squadra il talento era altissimo, arduo emergere. Di Carmine doveva capitare in un altro periodo». La sua carriera proseguì in varie squadre di serie C tra Acireale, Livorno e Torres per terminare al Rieti. Il figlio Samuel, 35 anni, cresciuto nella Fiorentina, ha militato in molte squadre e oggi gioca a Catania in C.

La pelliccia. Ai tempi dello scudetto, l’avvocato di Rieti Pietro Carotti era fidanzato con la futura moglie, nipote di Scopigno, il quale invitò per Cagliari-Juventus lui e due amici: il futuro presidente della Virtus Basket, David Angeletti, e Cesare Colla. Era inverno e i tre partirono abbigliati pesantemente, Colla con una vistosa pelliccia indossata pure allo stadio Amsicora, malgrado la mite temperatura: «C’era gente in maniche corte - afferma Angeletti - e la pelliccia suscitò ilarità tra i tifosi». Il Cagliari vinse 1-0, Riva non segnò e a fine gara Scopigno lo presentò ai reatini: «Emanava carisma solo con la presenza - racconta Angeletti. - Taciturno come noto, scambiammo poco più di saluto, ma fummo felici dell’incontro. Lo rivedemmo nel 1993 a Rieti, al funerale di Scopigno, quando portò a spalla la bara. Ci fece piacere che ricordasse di noi».

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