Un particolare che ovviamente non è sfuggito ai vicini di casa (ascoltati come testimoni in aula) che nel tempo hanno sempre portato acqua e alimenti al cagnolino dato che i due coniugi si prendevano cura di lui molto raramente. Nel mese di agosto la situazione degenera: sotto il caldo torrido in condizioni igienico sanitarie pessime e con il cagnolino in evidente sofferenza il 43enne, a otto mesi circa da quel trasloco, contattò via sms il padrone del jack russel chiedendogli il permesso di prelevare l’animale e tenerlo con sè. Permesso accordato. Tempo dopo però, dopo il decesso del marito e non trovando più il cane nel terrazzino, la vedova presentò una denuncia asserendo di non essere a conoscenza dell’accordo tra il defunto e il vicino di casa, accusando quindi quest’ultimo di furto.
Un capo d’imputazione punito con la pena della reclusione da uno a sei anni e una multa fino a 1.500 euro. Accusa cui l’uomo (assistito dall’avvocato di fiducia Antonella Di Leo) ha dovuto risponderne in tribunale (il pm aveva sollecitato una condanna a 8 mesi e 320 euro di multa). La tesi difensiva – oltre alla produzione degli sms sulla «cessione» del cane e di una documentazione fotografica molto esplicita sulle sue condizioni - si è incardinata sul fatto che i due terrazzini essendo contigui, separati da un muro ad altezza vita e con un piccolo spazio che consentiva di alimentare il cane, non poteva essere contestato il furto in abitazione in quanto un ingresso fisico vero e proprio dell’uomo non sarebbe, di fatto, mai avvenuto. Argomentazioni accolte dal giudice Panariello che ha assolto il 43enne «perché il fatto non sussiste».
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