«Erano giorni che c'erano scosse. Volevo portare a casa Valentina ma lei mi disse che stava al sicuro». Dopo 14 anni parlano i genitori dei tre reatini morti nel sisma de L'Aquila Le foto

«Erano giorni che c'erano scosse. Volevo portare a casa Valentina ma lei mi disse che stava al sicuro». Dopo 14 anni parlano i genitori dei tre reatini morti nel sisma de L'Aquila Le foto
di Sabrina Vecchi
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Giovedì 6 Aprile 2023, 07:46

RIETI - Non si conoscevano Luca, Michela e Valentina. Avevano le radici a Rieti, abitavano a L’Aquila, eppure le loro vite interrotte dal terremoto del 6 aprile 2009 non si erano mai incrociate. Quattordici anni da allora, da quando la terra trema e in tre case reatine arriva la telefonata che nessuno dovrebbe ricevere. Nulla da fare per Michela Rossi, che aveva 37 anni e nel capoluogo abruzzese ci lavorava, in un’azienda che costruisce pezzi di satelliti: «Squillò il telefono, non c’era scampo», racconta il padre Michelangelo.

Luca Lunari, vent’anni compiuti da una manciata di giorni e una bimba di sette mesi, aveva scelto la Casa dello Studente per studiare ingegneria informatica: «Era appena stata ristrutturata. Ci è rimasto seppellito sotto, l’ultimo ad essere trovato», dice mamma Rosa con la voce che ogni tanto si incrina. 

Argenis Valentina Orlandi, 23 anni, abitava con altre ragazze, le piacevano i bambini, studiava Scienze della Formazione: «Si illuminavano quando la vedevano, c’era una sintonia innata.

Forse, per la storia che aveva vissuto», sono le parole di papà Filippo, che parla di un dolore affrontato sempre in silenzio, con pudore. 

 

Le storie. Tre storie diversissime, tre giovani che le famiglie confessano di aver conosciuto meglio dopo la morte, dalle tracce lasciate negli amici, nei colleghi, negli affetti. Michela la sportiva, che si faceva mettere i turni di notte per andare a correre di giorno, Luca il solare, che aiutava un ragazzo disabile accantonato da tutti, Valentina la ballerina, che aveva le stelle al posto degli occhi quando si poteva scendere in pista. «Ci ha messo due giorni per insegnarmi un passo di bachata, ma non si dava per vinta, il ballo ce l’aveva nell’anima». Filippo è un padre che è stato chiamato così solo quando la sua bambina, adottata in Colombia a quattro anni, ha compreso che di lui e di mamma “Catarina” poteva fidarsi. 

Roberto invece cede il posto alla moglie, per parlare del loro Luca: «Era un compagnone, gli piaceva il basket, uscire con gli amici. Lo vedevo come un ragazzino, era invece un padre precoce ma molto responsabile. Parliamo di lui alla figlia Marta, che chiede sempre come fosse suo papà». 

Marta che oggi ha 14 anni, e frequenta il liceo classico Varrone, lo stesso del padre. Nella stessa aula, quest’anno, perché «la vita ti dà dei segnali, e noi ci aggrappiamo a quelli per andare avanti». 

La famiglia Rossi, originaria di Montefeltro, si trasferisce a Rieti negli anni Settanta, per il lavoro di papà alla Telettra: «Qui siamo rimasti, qui vive l’altro nostro figlio Pierpaolo». Michela inizia con l’atletica al Guidobaldi, poi non smette più: «Faceva le maratone, il triathlon, gli sport estremi, era una competitiva, non si fermava davanti a nulla». E non si fermò neppure a 22 anni, quando per un incidente entrò in coma e rimise in piedi la sua vita pezzo per pezzo, imparando di nuovo anche ad allacciarsi le scarpe. Il 6 aprile 2009 cadeva di lunedì, e Luca doveva fare un esame. Era ripartito il pomeriggio prima da Rieti, era stato con la figlia e le sorelle maggiori, aveva salutato la famiglia alla stazione: «Poi è finito tutto. Ci abbiamo messo un po’ ad attaccare le sue foto alle pareti, ma adesso vederlo in ogni parte della casa ci aiuta». 

«Sono al sicuro». Valentina aveva chiamato i genitori, avevano parlato dello sciame sismico che continuava. Il padre la richiama, vuole andarla a prendere, ma lei si rifiuta, sorride come sempre, rassicura tutti: «Sto bene, sono al sicuro». E in quella città che le ha dato la morte, i genitori Caterina e Filippo non sono mai più tornati: «Non serve, vive nei nostri cuori, nella figlia di una sua amica che porta il suo nome, nelle note del pianoforte che ho ripreso a suonare». 

Michela muore nel sonno dopo aver fatto una delle cose che le riempivano la vita: “Aveva corso la Stramilano, era felice. Per seppellirla le abbiamo lasciato il pigiama, si starà riposando dopo tanto correre». Genitori che vanno avanti nel ricordo, circondati dall’affetto di chi ha voluto bene ai loro figli, trovando giustificazioni all’ingiustificabile. 
«Forse, la vita aveva riservato qualcosa di doloroso a Luca, per cui ce lo hanno portato via prima che soffrisse». «Michela ha avuto una vita piena, intensa, piena di sfide. Il suo lavoro nel campo aerospaziale l’avrebbe portata all’estero, noi pensiamo sempre che sia fuori per lavoro». «Abbiamo adottato Valentina, o forse lei ha adottato noi. E a volte preghiamo il Signore perché quando sarà il nostro momento, invii lei a prenderci».

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