Gerusalemme, il Santo Sepolcro sbarrato da 3 giorni a turisti e pellegrini

Gerusalemme, il Santo Sepolcro sbarrato da 3 giorni a turisti e pellegrini
di Franca Giansoldati
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Martedì 27 Febbraio 2018, 16:38 - Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 13:19
Il portone della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme da tre giorni è sbarrato. I turisti e i pellegrini che visitano la Città Santa se ne vanno delusi. Le Chiese cristiane continuano a protestare per la decisione del sindaco di Gerusalemme di esigere le tasse sugli edifici religiosi. E la tensione non cenna a diminuire. La basilica più venerata della cristianità resterà chiusa non si sa per quanto. Una serrata choccante per i fedeli di tutto il mondo.

Da quando il presidente Trump ha deciso di spostare la sua ambasciata nella Città Santa il clima è divenuto sempre più pesante anche se la protesta dei cristiani è nata per le misure fiscali sulle loro attività decise dalla municipalità di Gerusalemme che ha dato un ultimatum, anche se si tratta di una questione vecchia che si trascina da decenni irrisolta e che il sindaco, Nir Barkat, un pragmatico uomo d'affari al suo secondo mandato, ha improvvisamente accelerato, provocando la reazione compatta del francescano padre Francesco Patton, del Patriarca greco ortodosso, Teofilo III e del Patriarca armeno, Nourhan Manougian che, domenica, annunciando la chiusura delal basilica, hanno parlato di «flagrante violazione dello status quo» e della «rottura degli accordi esistenti e degli obblighi internazionali».

A loro parere si tratta di «una legge razzista e discriminatoria che attacca soltanto le proprietà della comunità cristiana. Leggi di simile natura furono messe in opera contro gli ebrei in periodi bui della storia europea». Il sindaco ha replicato che i luoghi di culto, compreso ovviamente il Santo Sepolcro, sono esentati da qualsiasi tipo di tassazione che, invece, riguarda gli ostelli e le proprietà che originano business. «A me non pare ragionevole che aree commerciali come alberghi, sale di ricevimento e altri luoghi che danno reddito siano esenti da tasse municipali per il solo fatto di essere di proprietà delle Chiese. Perché l'albergo Mamilla deve pagare le tasse e il Notre Dame (di proprietà del Vaticano ndr) che gli sta di fronte, deve essere esentato?» Il sindaco aveva poi aggiunto che per troppi anni lo Stato non aveva consentito al Municipio di recuperare i debiti relativi alle aree commerciali che ammonterebbero a 650 milioni di shekel (circa 160 milioni di euro). «Ciò non è legale e neppure ragionevole». Il sindaco insiste: «O lo Stato ci restituirà quei fondi, destinati allo sviluppo della città, oppure continueremo ad esigere dalle Chiese quanto ci spetta secondo la legge».

Due settimane fa la municipalità ha così avviato la procedura, notificando al ministero delle Finanze, l'atto formale con il quale avrebbe iniziato a far partire le cartelle esattoriali su 887 proprietà cristiane senza includere chiese, luoghi di preghiera e altri edifici di spiritualità. Per ora il Comitato ministeriale che avrebbe dovuto - proprio domenica - esprimersi sulla vicenda ha deciso di posporre la questione a momenti migliori. La reazione così ferma delle Chiese è per non modificare lo status quo che va avanti da secoli e che è sempre stato riconosciuto e rispettato.

Nella giornata di lunedì 26 febbraio, anche Saeed Abu Ali, vice Segretario generale della Lega Araba per la Palestina e i territori arabi occupati, ha condannato l'imposizione di tasse su beni ecclesiastici disposta dalle autorità israeliane, bollandola come «una ennesima aggressione contro il popolo palestinese”, messa in atto per consolidare “l'occupazione della Città Santa», e che ha anche l'effetto di svuotare gli accordi già firmati e le trattative ancora in corso tra Israele e Santa Sed
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