Vaticano, Il Papa rompe il grande tabù: «La morte ci insegna a vivere, non avrà l'ultima parola»

Vaticano, Il Papa rompe il grande tabù: «La morte ci insegna a vivere, non avrà l'ultima parola»
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 17 Giugno 2015, 11:02 - Ultimo aggiornamento: 12:17
La morte come esperienza quotidiana, che tocca chiunque, poveri e ricchi, giovani e vecchi. La livella, come diceva Totò. Papa Bergoglio ne parla all'udienza generale con naturalezza, per rompere una sorta di tabù collettivo, perchè, come ha sintetizzato Zygmunt Bauman, uno dei maggiori sociologi contemporanei, la morte resta il grande tabù dell’era moderna.



L’accettazione sociale del lutto è diminuita al punto si vive nell'illusione di essere immortali. E la maggior parte dei genitori preferisce non affrontare l’argomento con i bambini, almeno fino a quando è possibile tenerli all’oscuro nel tentativo di proteggerli dal dolore o dalla necessità di confrontarsi con la perdita, anche se così facendo si obbliga sé stessi e gli altri a vivere la morte nel silenzio. Un dramma nel dramma. Bergoglio è partito proprio da questa riflessione e, parlando della potenza di Gesù sulla morte, ha invitato ad accoglierla come parte della vita, come «una esperienza che riguarda tutte le famiglie».



«Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte, che si porta via il figlio piccolo o giovane, è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tutta la famiglia rimane come paralizzata, ammutolita».



A chi vive un lutto, doloroso e lacerante, dunque, non «si deve negare il diritto al pianto». Il Papa ha incoraggiato i preti, ma anche, in generale, i credenti, ad esprimere «in modo più concreto il senso della fede nei confronti dell’esperienza famigliare del lutto. Non si deve negare il diritto al pianto: anche Gesù scoppiò in pianto e fu profondamente turbato per il grave lutto di una famiglia che amava (Gv 11,33-37). Possiamo piuttosto attingere dalla testimonianza semplice e forte di tante famiglie che hanno saputo cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti».



Alla morte fisica, Bergoglio ha associato dei “complici”, elementi che «si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia; insomma, il peccato del mondo – ha detto - che lavora per la morte e la rende ancora più dolorosa e ingiusta. Gli affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo. Pensiamo all’assurda normalità con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani. Di fatto la morte non ha l'ultima parola. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore. Dio mio, rischiara le mie tenebre».
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