Si rischia una riforma all'italiana
doppioni burocratici e pochi risparmi

di Oscar Giannino
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Domenica 22 Dicembre 2013, 09:32
Verrebbe da dire: parliamone solo a testo approvato. Perch l’abrogazione delle province uno dei temi tante di quelle volte annunciati da divenire un luogo comune. Una barzelletta da bar, simbolo di ciò che la politica dice ma non fa. Sinora, ogni intervento si è trasformato in un vano calvario di trappole giuridiche e agguati politici. Ma ieri l'aula di Montecitorio ha portato a termine l'esame della riforma apprestata dal ministro Delrio, e non resta che vedere se e che cosa ne verrà davvero fuori. Visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, per giudicare davvero la riforma occorrerà aspettare tre cose.



PUNTI FERMI

Primo, che venga approvata davvero entro il termine necessario a impedire che si voti nella prossima primavera, nelle 52 province intanto in scadenza che comunque con una norma inserita nella Legge di Stabilità saranno in ogni caso commissariate.

Secondo, bisognerà leggerne con attenzione il testo finale, visto che la lobby delle province in Parlamento è fortissima in ogni partito. Terzo: sul punto delicato dei risparmi, occorrerà aspettare i decreti attuativi perché in tanti si opporranno ai tagli veri e l'esperienza pluridecennale insegna che potrebbe anche scapparci, alla fine, che la spesa aumenti. Le province diventano infatti – secondo l'orrendo gergo tecnico della nostra burocrazia - enti di area vasta semplificati. Continueranno solo a pianificare per quanto riguarda territorio, ambiente, trasporto, rete scolastica. L’unica funzione di gestione resterà quella delle strade provinciali.

Per tutto il resto, leggi regionali trasferiranno le funzioni di gestione delle province, il loro patrimonio, le loro risorse umane e strumentali ai Comuni e alle Unioni dei Comuni, alle Città Metropolitane o alle Regioni.

Scompare la giunta provinciale, il presidente è un sindaco in carica scelto dall'assemblea dei sindaci dei Comuni provinciali. Mentre il Consiglio provinciale è costituito dai sindaci dei Comuni con più di 15.000 abitanti, e dal presidente delle Unioni di Comuni del territorio con più di 10.000 abitanti.



GLI ELETTI

Com'è ovvio, scritta così la riforma il taglio dei costi della politica sicuro è solo quello appunto dei politici eletti. Cioè circa 135 milioni, su dati relativi al 2010. Dopodiché, si apre il vasto mare delle divergenze di opinioni. Gli studi seri fatti dall'Istituto Bruno Leoni, che potete scaricare dal sito, indicano i risparmi conseguibili – se si abolicono anche le relative prefetture e uffici dello Stato - in almeno metà dei 4 miliardi di euro di costi fissi delle province. Il ministro Delrio dice che entro un paio d'anni si può risparmiare fino a un miliardo di euro e qualcosa di più.



PESSIMI SEGNALI

La Corte dei conti, nell'audizione parlamentare sul ddl a fine novembre ha sparato a zero, dicendo di non essere in grado di valutare né risparmi né sostenibilità finanziaria della riforma, stante che tutto dipende dalle sue norme attuative. Quanto poi all'UPI, l'Unione province italiane, afferma che con certezza la riforma costerà ai contribuenti miliardi in più, perché moltiplicando a migliaia i centri di gestione – i Comuni – i costo unitari degli edifici scolastici come degli interventi ambientali si moltiplicheranno anch'essi.

Il pessimo segnale è che le Città Metropolitane intanto sono aumentate a dismisura, ridicolmente. Ragionevolezza vorrebbe che si parlasse di Torino, Milano, Venezia, Napoli e in più, forse, Palermo. Ovviamente aggiungendo Roma Capitale. Invece si sono aggiunte già Genova, Bologna, Trieste, Firenze, Bari, Reggio Calabria, Catania e Messina. E altre sarebbero in arrivo.

Un altro difetto della riforma è di limitarsi a prevedere che tutti i municipi con meno di 5 mila abitanti, fino a 3 mila se montani, si associno per svolgere le loro funzioni fondamentali. Associarsi non vuol dire far scomparire i Municipi. Delrio si arrabbia, se si parla di riforma all'italiana. Ma purtroppo e non per colpa sua, è così. Pensate alle tante “notizie di caos” che continuano a venire dalle province italiane, del tutto inossidabili al fatto che starebbero per sparire, e concludete da soli se il tutto vi fa pensare che davvero si prende sul serio l'idea che la provincia stia finendo.



I TERRITORI

La giunta Crocetta appena nata dichiarò l'abrogazione delle 9 province. Si fa per dire. Al posto della giunta e dei consigli ci sono i commissari nominati da Crocetta. Gli enti restano e dovrebbero continuare a gestire gli stessi servizi. Solo che lo Stato ha decurtato i contributi di quasi 100 milioni di euro e la Regione di 20: 110 milioni in meno. Ma gli unici risparmi veri sono stati di 8 milioni, gli emolumenti dei consiglieri, sui 750 milioni di costi delle 9 province nel 2012.

I «liberi consorzi di Comuni» che Crocetta aveva annunciato, non si sono visti. La riforma complessiva per introdurre le Città metropolitane nemmeno, aspettando quella nazionale. I 6 mila dipendenti delle Province – costo oltre 350 milioni – non sanno che fine faranno.

Il risultato è che i “commissari Crocetta” hanno tagliato solo servizi scolastici e manutenzione stradale. Altrettanto paradossale la situazione sarda. A maggio 2012, referendum consultivo per abrogare le 4 province storiche della regione (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano), e abrogativo per sopprimere le nuove province (Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio): i sardi approvano.

La Regione scioglie i consigli, commissaria gli enti ma li proroga a quel punto due volte, in attesa di una riforma prima e poi fino a nuove elezioni. Lo Stato a quel punto impugna la legge regionale. Gli ex amministratori commissariati delle province impugnano a propria volta il commissariamento al Tar. Il Tar rinvia a sua volta l'impugnativa alla Corte costituzionale.

C’è poi il caso Siena dove proprio quest'anno sono ripresi i maxi lavori del nuovo palazzo provinciale, da 6.300 metri quadrati. L'opera ha visto lievitare i costi dai 6 milioni previsti nel 2009 ai 12 attuali.

Vien da dire che «in Italia» non se n'é parlato, Ma lo scandalo finanziariamente più grave in questo biennio di «attesa abrogazione» delle province è avvenuto a Bolzano, con un assessore e un direttore generale condannati per truffa e turbativa d'asta, relativa a tutte le concessioni energetiche ex Enel. Le società energetiche messe «fuori mercato» dalla politica e dai funzionari provinciali hanno richiesto danni per oltre 600 milioni di euro. Naturalmente le due ”province regionali” di Trento e Bolzano sono fuori portata rispetto alla riforma Delrio. Ma altro che Sud.