Si è minimizzato prima a proposito di Marra e si minimizza adesso. No, non è «uno dei 23 mila dipendenti comunali» il braccio destro del sindaco. Quello sospettato, ad esempio, di aver tramato per spingere alle dimissioni la Raineri e Minenna.
Due pezzi pregiati - o almeno professionisti meritevoli di altra sorte - della cabina di comando capitolino. Nel mini discorso del primo cittadino, pronunciato ieri in Campidoglio, c’è dunque un deficit di consapevolezza della gravità di ciò che è accaduto. E uno stile di autodifesa - non vedo, non sento, non parlo: a parte un breve comunicato letto in aula - che rimanda ai momenti peggiori e ai personaggi minori della Prima Repubblica. Il ricorso allo scaricabarile (Marra non è dei nostri e «i fatti non riguardano questa legislatura»); l’auto-assoluzione senza spiegazione; la riduzione del tutto a un piccolo incidente di percorso (andiamo avanti lo stesso); la rivendicazione del monopolio dell’onestà a dispetto dell’evidenza («Noi nel 2013 facemmo una mozione contro gli affitti del Comune da Scarpellini») non sembrano contenere nulla di quella neo-politica sbandierata in questi anni dai grillini e che è stata il motore del loro successo.
La questione vera è proprio quella della discontinuità. Il caso Marra, e la maniera in cui è stato trattato in queste ore dai vertici del Campidoglio, contiene due vulnus. Il primo sta nella rottura del rapporto di fiducia con i cittadini, che fin dall’inizio non hanno capito bene chi fosse questo personaggio. E dunque è stato tradito, sotto gli occhi dei romani, il totem della trasparenza ed è andata in frantumi, e seppellita sotto pareti alte, spesse e impenetrabili, la retorica del Palazzo Senatorio come “casa di vetro”. Il secondo vulnus che contiene questa storia è quello ai danni del movimento 5 Stelle. Che ha sempre fatto della discontinuità la propria bandiera politico-culturale e da subito, da Grillo in giù, ha avuto la sensazione che qualcosa non funzionasse da questo punto di vista nelle stanze del Raggio Magico, di cui Marra è stato personaggio cruciale e protetto.
Derogare al principio di una nuova selezione del personale amministrativo, portatore di logiche diverse e di metodi innovativi, per legarsi invece a figure che vengono dalle nebbie del passato, ha insomma riportato indietro l’azione o l’inazione del governo cittadino. Che si era proposto, viceversa, come tentativo a forte impatto di rottura e su questo approccio i pentastellati ma soprattutto la stragrande maggioranza dei romani hanno scommesso.
Come nel caso della Muraro, l’assessore che alla fine si è dimesso sotto la prevedibilissima spinta dell’avviso di garanzia, anche per Marra si è cercato di negare l’esistenza di un problema. Finché è arrivata la magistratura a scoperchiarlo. Nella notte della politica, gli unici lampi sono gli atti giudiziari. E ciò, per quanto riguarda il buon funzionamento della fisiologia democratica, non è affatto un bene. Ma è ciò che sta accadendo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA