Riforme e lavoro, Renzi tiene duro: i provvedimenti non cambieranno

Palazzo Chigi
di Marco Conti
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Domenica 30 Marzo 2014, 10:57
Discutiamo e riflettiamo, ma alla fine si decide. Matteo Renzi ha dato ieri il via libera all’incontro che mercoled sera il ministro Poletti avr alla Camera con il gruppo del Pd. Renzi non è disposto ad accettare stravolgimenti al testo presentato dal governo, ma il pressing del capogruppo Roberto Speranza, ha strappato l’appuntamento con il ministro che ieri ha messo in agenda la riunione con un eloquente «alla fine decido io». Per dare ancor più il senso della direzione che in Italia prenderà il mercato del lavoro e il rapporto tra governo e parti sociali, Renzi martedì volerà a Londra. In questo modo, mentre il ministro Poletti sarà impegnato a Roma con i parlamentari del Pd sul decreto lavoro, Renzi sarà nella City per incontrare il primo ministro David Cameron e il leader laburista Edward Milliband diventato anche lui a quarant’anni leader del partito laburista. Significativa sarà anche la tappa che Renzi farà al Financial Times, giornale molto influente nella comunità finanziaria internazionale, che ha elogiato apertamente quel jobs act che la sinistra del Pd vorrebbe rimettere in discussione.





AGENDA

La cura che Renzi quotidianamente dice di porre per risultare in «sintonia con la gente e non con le liturgie di partito» va di pari passo con la cura con la quale il presidente del Consiglio riempie la sua agenda internazionale. In poche settimane è infatti riuscito ad avere incontri a tu per tu con quasi tutti i leader dei più importanti paesi, eccetto il nuovo leader cinese Xi Jinping sfiorato al summit dell’Aja.





Renzi continua a tenere alta l’asticella delle attese e delle promesse convinto che sarà comunque un successo anche se qualcuna dovesse slittare più avanti. Nella pattuglia ministeriale non si registrano per il momento sbavature e la sortita di ieri l’altro del ministro Stefania Giannini non preoccupa il premier che sui prepensionamenti di massa cova da tempo più di un dubbio, preferendo la mobilità al sovraccarico di pensionati sul bilancio pubblico. Il «più imponente processo di trasformazione degli ultimi trent’anni», come lo ha definito la stampa americana, verrà domani supportato dal pacchetto di riforme istituzionali che il ministro Maria Elena Boschi presenterà in consiglio dei ministri e che ieri stava ancora limando nella parte relativa alla composizione del Senato. Lo sgravio Irpef di 80 euro in busta paga entro Maggio per una decina di milioni di lavoratori dipendenti, resta per Renzi la carta più importante sulla quale si misura la credibilità del governo, ma anche il pacchetto di riforme - a costo zero per le casse del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan - sono in grado di produrre quel consenso che permetterebbe a Renzi di alzare non solo il suo personalissimo indice di gradimento, ma anche le percentuali del partito.





DESERTO

Azzerata la concertazione con imprenditori e sindacati, ridotto all’osso il dibattito interno al partito, il presidente del Consiglio sembra avere la strada spianata, se non un deserto, davanti. Il partito è stato affidato di fatto alle doti mediatorie di Lorenzo Guerini e alla capacità comunicativa di Deborah Serracchiani. Le opposizioni interne al Pd si sono frantumate e al dunque anche nel gruppo parlamentare della Camera, messo insieme da Pier Luigi Bersani, sembra prevalere nei momenti decisivi più la voglia di restare in Parlamento che di combattere. Correzioni e limature sono possibili sia al decreto lavoro, sia alla riforma costituzionale che cambierà le funzioni di palazzo Madama e riscriverà il Titolo V. Aggiustamenti che, specie sul jobs-act - già attuato per decreto - sono possibili «a patto che non stravolgano l’impianto». Malgrado le resistenze interne e Forza Italia, Renzi è convinto che anche Berlusconi accetterà il cambio di calendario a patto che alla fine l’Italicum arrivi nell’aula del Senato prima delle elezioni europee. Infatti Renzi è convinto di poter avere una mano non da poco dal risultato delle elezioni europee per spianare le resistenze dei piccoli partiti. Un obiettivo che il presidente del Consiglio ha in comune con il Cavaliere che continua a raccogliere "pezzi" di centrodestra per evitare si scendere sotto il 20%.

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