Democratici contro/ Un accordicchio sarebbe letale

di Biagio de Giovanni
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Lunedì 13 Febbraio 2017, 00:12
Non ho intenzione di far l’indovino su ciò che avverrà oggi nella Direzione del Pd. 
Ma immagino che sia la data di apertura di una battaglia politica che avrà effetti sulla storia della sinistra italiana. E francamente è sperabile che sia così, dopo il troppo silenzio seguito a quella data da parte di chi aveva avviato una fase nuova e diversa di quella storia, discutibile come tutte le cose umane, eppure carica di una nuova energia. È sperabile, voglio dire, che il tutto non venga affogato nel gorgo incomprensibile di una mediazione buona a tutti gli usi e a tutte le interpretazioni. Peraltro, nulla lascia prevedere questo, perché la minoranza interna, vincitrice del referendum, non perderà certo l’occasione per provare ad affondare definitivamente il proprio gladio nel petto del segretario, rappresentazione metaforica, s’intende: un segretario sempre visto come corpo estraneo a una storia giudicata forse fin troppo nobile e continua, ma decaduta da tempo in una querula memoria di tempi passati. E peraltro lo stesso Renzi non può non scegliere la battaglia aperta dinanzi a un pezzo di partito che ha contribuito, in modo decisivo, al seppellimento della riforma costituzionale. Non solo, ma che appare pronto a votare contro ogni altro eventuale referendum che riguardi riforme operate dal governo, a cominciare da quelle relative al mercato del lavoro. Quale sarebbe il senso di una pura mediazione conciliativa? La politica è anche conflitto, non bisogna temere di affrontarlo, cadendo in una rugginosa burocrazia salva-tutti e quindi salva-niente. E dal conflitto può sgorgare nuova energia, se si mettono in campo idee, non coperchi che non coprono più nulla. 

Chi è ancora segretario deve prendere nelle sue mani l’iniziativa politica, non subire passivamente il corso degli eventi come il suo eccessivo silenzio fino a oggi può aver fatto pensare, diffondendo, di sicuro, un clima di incertezza e di sfiducia. C’è ancora tempo? Bisognerà vedere. Non ci sarebbe bisogno di Machiavelli per ricordare, per di più a un fiorentino, che sarà “felice” quel principe “che riscontra el modo del procedere suo con i tempi” e se questo nesso si perde “c’è la cagione della trista fortuna degli uomini”. Una battaglia politica, su che? Sulla fisionomia politica della sinistra italiana, sulla sua collocazione in un mondo che cambia a ritmi vertiginosi e produce in giro, qualcuno dice, “mostri” della ragione, qualche altro, forse con più equilibrio, parla di risposte provvisorie e confuse sotto il ritmo di avvenimenti incalzanti. La vecchia sinistra, impersonata oggi largamente dalla minoranza Pd con confini sempre più incerti verso una sinistra ancora più “a sinistra” , mi pare che ancora cerchi di guardarsi in uno specchio in frantumi, e, riflettendo in esso la propria immagine, la confonda con la realtà effettuale delle cose. Il mondo a cui quella sinistra continua a guardare non c’è più, e solo una illusione ottica può renderlo visibile: il movimento operaio, le alleanze, cattolici e comunisti in edizione postuma, l‘eterno ritorno, sempre la stessa cosa. È spesso un male oscuro della politica quello di riflettere il proprio passato in un presente che più non lo comprende, e questo male oscuro appartiene con particolare virulenza a chi crede, o mostra di credere, di avere una storia ancora viva dietro di sé. Ma anche la storia finisce, e bisogna saper vedere le discontinuità, le nuove energie che appaiono, e provano a fare, a ridar vita a cose morte, a dire: siamo qui a fare un tentativo. Un pezzo della sinistra italiana è inchiodata al proprio passato. Vuole, nientemeno, riproporre un Ulivo, come oggi si dice, 4.0. Una stagione finita nella sconfitta di aggregazioni che dovevano riunire –ecco il paradosso e il significato stesso della sconfitta- massimalismo e riformismo, la anime divise di una sinistra che, non si sa per qual motivo, dovrebbero, unite, convincere gli italiani a farsi da essa governare. Stagione finita, cultura finita. Irrompono nuovi sensi della politica e della storia. E nuove possibili alleanze: Renzi e Pisapia non hanno, forse, più di qualcosa da dirsi? 

La forza iniziale di Renzi è stata nell’aver capito che quella storia era finita. E questo spiega i mille giorni di governo e anche il coraggio messo in tante decisioni e in tanti abbozzi di riforma interrotti. Ma perché, allora, la sconfitta? Perché il 4 dicembre? Nel conto vanno messe, naturalmente, tante cose diverse, la spinta generale anti-élite che ha colpito anche Renzi; il permanere di una crisi generazionale che però grava proprio sul passato e sulle vecchie classi dirigenti; gli errori di una accelerazione talvolta un po’ vuota e piena di promesse non sempre realizzate; una riduzione eccessiva del campo della direzione politica; la sottovalutazione dell’’importanza dei partiti “cittadini”, alcuni dei quali, oggi, si avvitano su se stessi in squalida decadenza. Ma nel conto va messo, pena l’incomprensione dei processi, quel 40% per cento che ha votato la riforma della costituzione contro tutto e tutti. Cosa andata tranquillamente nel dimenticatoio. 

Ora c’è un punto cardinale da mettere in luce a favore del tentativo di Renzi, se si perde il quale tutto il fronte del riformismo è destinato ad arretrare. E il punto è che proprio questo fronte, a sinistra, era stato riaperto da Renzi. Si programmavano alcune cose e si provava a farle. La lotta all’evasione ha raggiunto record inediti, si è saputo dopo. I diritti civili sono avanzati dopo defatiganti e annose discussioni andate a vuoto. L’Italia si era rimessa in moto, dopo quasi un ventennio di stasi. Anche internazionalmente l’Italia stava riprendendo una fisionomia, i tratti di una identità non regressiva ma interlocutrice. Il riformismo era tornato a diventare una politica, si era appena all’inizio. Ora molte cose appaiono disperse, come se sempre si debba ricominciare da capo, una Italia che non ammette che qualcuno decida qualcosa, meglio è discutere, discutere di cose che già si sa che non si faranno. Una sola previsione: fu detto da un capofila del No che in sei mesi si poteva avviare una vera rifoma della costituzione. Ma domando: se ne sentirà mai più parlare? 
 
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