Bonus e Irpef, il governo al lavoro sui redditi medi

Bonus e Irpef, il governo al lavoro sui redditi medi
di Luca Cifoni
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Venerdì 22 Aprile 2016, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 21:13

ROMA - e Matteo Renzi abbia la seria intenzione di provare ad anticipare a quest'anno almeno una parte del taglio dell'Irpef, è piuttosto certo. Che le necessarie risorse finanziarie possano essere reperite rinviando la riduzione dell'Ires a beneficio delle imprese, è ormai abbastanza probabile. Sul come portare avanti questa cruciale operazione politica prima che economica ci sono però diverse ipotesi allo studio e la decisione finale, come già indicato dal premier, sarà presa nel mese di settembre e poi formalizzata con la legge di Stabilità che entrerà in vigore dal gennaio 2017. Ieri Palazzo Chigi ha smentito che sia in programma un ampliamento da 80 a 100 euro mensili del credito d'imposta (il famoso bonus) riservato ai lavoratori dipendenti con reddito fino a 26 mila euro annui: un progetto che è stato comunque oggetto di valutazione e che presenta vantaggi e svantaggi. Dalla parte dei pro c'è naturalmente l'immediata valenza comunicativa, che si scontra però con una serie di controindicazioni applicative legate proprio all'attuale formula del bonus.

EFFETTO NEGATIVO
Oggi infatti i lavoratori dipendenti percepiscono il credito d'imposta a partire da un reddito imponibile di circa 8.150 euro. Fino a 24 mila euro il beneficio è pieno, ma a partire da questo livello di reddito l'importo inizia a decrescere bruscamente fino ad azzerarsi a quota 26 mila. Il rapido décalage fa sì che all'interno di questa fascia un eventuale incremento di reddito subisca di fatto un prelievo superiore all'80 per cento. All'aliquota del 27 per cento ed alle addizionali regionale e comunale si aggiungono infatti la minore detrazione per lavoro dipendente e soprattutto la riduzione del bonus, che ad esempio si dimezza (480 euro l'anno invece di 960) passando da 24 mila a 25 mila euro. Con il credito d'imposta a 100 euro mensili (ovvero 1.200 l'anno) l'effetto negativo si amplierebbe fino a neutralizzare quasi completamente il beneficio di un reddito aumentato, ottenuto magari facendo degli straordinari. A meno di rivedere il tetto massimo, scelta però che sarebbe costosa.

Così una delle soluzioni in campo punta ad andare in direzione opposta, riducendo con un intervento sulle detrazioni l'aliquota marginale effettiva a carico dei redditi bassi e medio bassi. Un'altra linea di intervento, che viene valutata insieme o in alternativa alla precedente, prevede di ridurre l'attuale aliquota del 38 per cento, che scatta ai 28 mila euro, dopo lo scaglione precedente su cui si applica invece il 27. Un salto abbastanza brusco che potrebbe essere ammorbidito a beneficio dei redditi medi.

Infine resta in pista anche il progetto di ridurre in via stabile il cuneo fiscale, andando a toccare non l'Irpef ma i contributi previdenziali. Un taglio ad esempio di 6 punti potrebbe tradursi in parte in una busta paga più pesante, mentre l'invarianza della pensione futura sarebbe garantita da un intervento dello Stato o dall'aumento dei versamenti alla previdenza integrativa, almeno in teoria più redditizia. Qui il dossier fiscale si intreccia con quello previdenziale, che sarà definito anch'esso a settembre: il potenziamento dei fondi complementari è uno degli obiettivi del governo.

Quanto a misure più specificamente orientate alla famiglia, sollecitate in particolare dai centristi della maggioranza (come la concentrazione degli attuali benefici sui figli successivi al primo) è probabile che per ora l'obiettivo sia limitato al solo riordino delle agevolazioni esistenti, indicato nel Def.

LE COPERTURE
Naturalmente qualsiasi vantaggio per lavoratori e contribuenti dovrà trovare adeguata copertura finanziaria, il che non è facile mentre l'Italia è già impegnata a convincere Bruxelles sui margini di flessibilità indicati nel recente Documento di economia e finanza (Def). Per questo si fa strada l'idea di ripensare l'ordine delle priorità e sacrificare ancora una volta l'Ires pagata dalle società. In base a quanto già previsto con la legge di Stabilità l'aliquota dovrebbe scendere dal 27,5 al 24 per cento, con un minor gettito di circa tre miliardi nel 2017 e di quattro l'anno a regime. Una marcia indietro non sarebbe ovviamente gradita alle imprese le quali però - è il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi - si potrebbero avvantaggiare dall'eventuale ulteriore ripresa dei consumi eventualmente indotta dalla minore pressione fiscale. Insomma con un occhio alle scadenze politiche, referendum ed eventuali elezioni anticipate, il premier resta convinto che la strada dello stimolo alla domanda interna sia quella giusta.