Le due anime dem/La coabitazione degli opposti è al capolinea

di Marco Gervasoni
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Martedì 14 Febbraio 2017, 00:16 - Ultimo aggiornamento: 00:59
Chi si aspettava lo scorrere del sangue dalla Direzione del Pd sarà rimasto deluso. Benché le case madri Pci da un lato, Dc dall’altro, da cui discende per li rami il Pd, fossero piuttosto propense alla mediazione fino allo stremo, stavolta tuttavia non è escluso che qualcosa accada. È infatti passata la linea di Renzi, il congresso prima delle elezioni, che si allontanano. Una decisione che la minoranza ha subito accolto con forte disappunto.
Inoltre Renzi ha rimandato al congresso questioni più impegnative come la definizione di un’identità e di un programma. Eppure un partito che, da quando è nato, un decennio fa, è stato più spesso al governo che all’opposizione, non dovrebbe ancora interrogarsi su se stesso.
La realtà è che il Pd, «partito spiaggiato» secondo l’acuta definizione di Cuperlo, non ha mai voluto scegliere se essere tendenzialmente socialista o orientativamente liberale, se essere più il partito dell’eguaglianza o più quello della libertà individuale. Veltroni, con la sua «vocazione maggioritaria», pensava che le due spinte potessero convivere.


E forse è stato anche possibile, ai tempi della «terza» via di Clinton e di Blair, che in parte Obama pareva continuare. Renzi cominciò il suo percorso da premier con una pizza offerta a Blair a Palazzo Chigi ma i tempi erano già mutati. E i due partiti, quello degli individui, dell’abbassamento delle tasse, del jobs act, e persino a un certo punto dell’«arricchitevi!», negli anni di Renzi ha vissuto assai male con quello dei fedeli della socialdemocrazia. Nessuno dei due ha vinto.

Tuttavia, a giudicare dall’evoluzione dei partiti socialisti europei, tutti in crisi, elettorale prima che programmatica, il vento della storia pare soffiare verso le ricette «protettive», come ha detto Bersani nel suo intervento: il ritorno all’old Labour di Corbyn (la cui maggioranza dei deputati ha votato la scorsa settimana per la Brexit) la virata all’ultra sinistra del candidato dei socialisti francesi Hamon, la stessa pre-campagna di Schulz che, dai toni, è lontana anni luce dalla socialdemocrazia responsabile di Helmut Schmidt, per non parlare di quello di Schroeder. Non a caso ieri molti hanno criticato Renzi per aver insistito ancora sulla riduzione del carico fiscale: per i nuovi (vecchi?) socialisti, le tasse vanno alzate per ridistribuire spendendo. Ma è possibile restando nei parametri europei?

D’altro canto, al modello dello Stato protettore indicato dall’attuale minoranza (e non solo) Renzi non ha fornito risposte concrete. Limitandosi a riconoscere che esistono «nuove povertà» e che il compito della politica è quello di «accudire» - verbo che a un liberale mette un po’ ansia. Renzi per ora ha vinto ma non è detto che anche nella sua stessa maggioranza, divisa in una decina di tendenze, non serpeggi la tentazione di una «terza via» tra renzismo e vecchia socialdemocrazia: da tenere d’occhio il guardasigilli Orlando.
Se fosse solo una discussione interna ad un partito dell’opposizione, poco male. Il problema è che il Pd è il governo e le tensioni nel Nazareno, come spesso è accaduto, finiscono sul paese. Non possiamo perciò permetterci un congresso e una discussione infinite, e soprattutto abbiamo il diritto di chiedere al partito di maggioranza relativa quali siano le sue proposte, ad esempio, sulla legge elettorale. Vedremo se i prossimi mesi scioglieranno queste domande: le lezioni della storia recente non ci predispongono però all’ottimismo.
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