Obama sconfitto apre ai repubblicani: «Collaboriamo per le leggi giuste»

Obama sconfitto apre ai repubblicani: «Collaboriamo per le leggi giuste»
di Anna Guaita
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Mercoledì 5 Novembre 2014, 18:29 - Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 16:10

NEW YORK – Le coalizioni resistono, ma è quella democratica a perdere una gamba. Bianchi, uomini e anziani sono rimasti fedelissimi ai repubblicani. Minoranze e donne ai democratici.

Ma i giovani, una delle colonne delle due vittorie di Barack Obama nel 2008 e nel 2012, se ne sono stati a casa. Le elezioni di mid-term (stranamente tradotte in italiano con “medio termine”, anzichè il corretto “metà mandato”) fotografano un Paese spostato a destra, e in polemica con il presidente.

Le parole “bocciatura”, “schiaffo”, “sconfitta” hanno dominato nelle parole degli analisti, sebbene qualcuno abbia tentato di ridimensionare il risultato paragonandolo ad altri tsunami ben più trascinanti verificatisi nella storia politica degli Usa.

Ma pur con tutti i possibili distinguo, le elezioni di martedì costituiscono un’enorme vittoria per il partito repubblicano che dopo otto anni torna a guidare sia la Camera che il Senato, oltre a riprendersi alcuni governatorati che tutti davano invece per traballanti.

Il presidente Obama ha riconosciuto la sconfitta e ha convocato la stampa. Nel corso di una lunga conferenza stampa, una delle più lunghe della sua presidenza, Obama ha detto di aver «sentito il messaggio degli elettori» e di aver capito che il Paese chiede che i poitici «risolvano i problemi». Sebbene in certi momenti sia sembrato stanco e anche provato, Obama è stato netto, nel parlare della nuova maggioranza repubblicana: «Ho fatto loro le mie congratulazioni e li incontrerò alla Casa Bianca venerdì. Sono ottimista che saremo in grado di trovare settori su cui possiamo andare d'accordo al 70, 80, anche al 90 per cento». Scherzando ha ammesso: «Sono sicuro che i repubblicani mi manderanno leggi su cui non sarò d'accordo e alle quali metterò il mio veto», ma ha ripetuto di essere «ansioso» di collaborare.

La giornata elettorale era stata anche piena di polemiche, per le attese troppo lunghe, per i guasti alle macchine e per la confusione su alcune leggi che richiedevano documenti di identità che molti votanti non avevano. Alla fine della giornata, i dati erano però chiari: i democratici hanno perso sette seggi senatoriali, dando così ai rivali una maggioranza di 52 seggi su 100. Nella Camera bassa, i repubblicani hanno riconfermato e allargato la maggioranza che già avevano, arrivando a 244 seggi su un totale di 435.

Nella gara per il Senato ci sono state varie sorprese, come le inattese sconfitte democratiche nell’Iowa e nel Colorado, due Stati che Obama aveva vinto sia nel 2008 che nel 2012, e nella Carolina del nord e nella Georgia, dove i neri non sono accorsi alle urne come avevano fatto alle presidenziali. L’analista Ana Navarro, della Cnn, ha paragonato queste sconfitte a quella di Al Gore nel 2000. Come allora il vicepresidente pagò la mancanza di lealtà verso Bill Clinton, dal quale si era distanziato per motivi “morali” dopo lo scandalo della relazione con la stagista Monica Lewinski, nel caso delle elezioni di midterm tanti democratici si sono allontanati da Obama, spaventati dalla sua impopolarità, solo per perdere poi il voto dei neri: “La mancanza di lealtà non è un tratto caratteriale che piace” ha spiegato la Navarro. D’altro canto, gli exit poll hanno confermato che la popolarità di Obama era al 44 per cento, mentre la sua impopolarità era sfiorava il 56 per cento. E’ lecito dunque pensare che quei voti persi per la “mancanza di lealtà” non avrebbero avuto l’effetto di cambiare i risultati.

Pesante per i democratici anche la sconfitta in alcuni governatorati: passano ai repubblicani due Stati blu e quindi di forte tradizione liberal, come il Maryland e il Massachusetts. Ennesima amarezza per Barack Obama è il fatto che il suo Stato, l’Illinois, ha scelto il repubblicano Bruce Rauner, che ha spazzato il democratico Pat Quinn: quest’ultimo era riuscito a inimicarsi proprio lo zoccolo duro del voto democratico, e cioé i sindacati.

La prima vittoria di martedì è stata proprio quella del senatore Mitch McConnell, 72enne del Kentucky, al sesto mandato al Senato. McConnell, leader dei repubblicani al Senato, è stato uno degli oppositori più fermi della politica di Barack Obama, e nel 2009 annunciò che il suo partito avrebbe cercato di trasformare la nuova presidenza “in un inventario di sconfitte”. La negatività da allora abbracciata dal Partito dell’Elefante, e spesso l’aperto ostruzionismo, ha fatto la sua parte nell’indebolire Obama, ma è anche vero che il presidente stesso ha commesso alcuni gravi errori che hanno lasciato un segno nell’opinione pubblica, come il famoso pasticcio all’inaugurazione della riforma sanitaria, o i tentennamenti davanti alla guerra in Siria e all’affermarsi del gruppo terrorista islamico Isis.

E’ difficile dunque immaginare che il partito repubblicano vorrà ora improvvisamente cominciare a collaborare con Obama, anche perché quasi tutti i neo-eletti del partito hanno fatto campagna promettendo l’opposto, e cioé di non collaborare con il presidente e di diminuire l’influenza dello Stato federale.