Energia e geopolitica/ Il petrolio di Teheran pesa più del nucleare

di Giulio Sapelli
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Venerdì 3 Aprile 2015, 23:09 - Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 00:10
Per secoli l’area mediorientale è stata dominata dall’equilibrio instabile tra la potenza ottomana e quella persiana che avevano dietro di sé secoli di storia. Il crollo dell’Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale e gli accordi anglo francesi che ne seguirono, segnarono l’emergere della variegata potenza araba. Essa era disunita e incapace di costruire stati che non fossero mucillaggini tribali, sottoposte a variazioni dinastiche incerte per via della successione poligamica (tra fratelli per anzianità) e non primogenita.



La Persia continuò, invece, a essere una nazione imperiale anche se sottoposta a un dominio coloniale, e questa sua stabilità le consentì di essere la più precoce potenza energetica dell’area. Nel 1908, in una zona del Sud Ovest persiano, nell’affascinante provincia del Khozestan, si trivellava il primo pozzo petrolifero di tutto il Medio Oriente, denominato Masjid-i-Solaiman, sulle pendici dei Monti Zagros, ancor oggi abitate dai clan delle tribù dei Bakhtiari. Fu vicino alla città che porta quel nome che uno dei pionieri della ricerca petrolifera mondiale, il grande William Knox D’Arcy, dal cui lavoro nacque poi l’Anglo Persian Company, ottenne da King Mazaffaraddin Qajar, la concessione per iniziare a trivellare e gettare in quel modo le fondamenta della ricerca petrolifera in tutto il Medio Oriente.



L’accordo di Losanna in questi giorni si è firmato non a caso nello stesso hotel dove nel 1923 si firmò quel Trattato di Losanna che sistemava il crollato Impero Ottomano.



È un accordo sulla non proliferazione nucleare che sancisce il controllo internazionale sul nucleare iraniano. Ma è anche un accordo che restituisce al mondo dell’energia una nazione culla della potenza petrolifera e gasifera mondiale e che può ora apprestarsi a disporre delle proprie immense riserve in forma finalmente non conflittuale ma cooperativa con il mondo. Prima che si applicassero le sanzioni, l’Iran produceva circa 6 milioni di barili giorno, una quantità immensa che ne faceva uno dei giganti mondiali. La rivoluzione komeinista altro non fu che la rivendicazione della potenza nazionale come controllo energetico e quindi la continuazione della rivoluzione del 1953 guidata da Mossadeq, principe di sangue reale, e appoggiata - con diversa potenza, beninteso - dalla Russia e dall’Eni di Mattei contro l’Anglo Persian Company, poi divenuta Bp. La stagione di Mossadeq fu schiacciata dagli inglesi e dagli americani e così si affermò la ferrea dittatura dello Scia Reza Palevhi, poi rovesciata dalla emersione sciita che ancor oggi domina l’Iran.



L’Iran, come del resto l’Iraq, ha sempre fatto del petrolio uno strumento per la crescita della potenza nazionale. I partiti bathisti in Iraq e in Siria e poi il nazionalismo komeinista altro non sono state che versioni completamente diverse di quello che io ho definito l’“oil and gas nationalism”, corrente che ha profondamente influenzato tanto il Medio Oriente quanto il Sud America. Ciò è dimostrato anche dalla vicenda saudita, che ha perseguito tale linea in forma spuria, non come borghesia nazionale, ma come borghesia “compradora” ancora tribale e quindi sottoposta al controllo militare ed economico degli Usa da circa settanta anni.



Ora l’Iran può ritornare a far parte delle potenze energetiche mondiali. Nonostante le sanzioni, Teheran esporta circa un milione di barili giorno di petrolio verso le nazioni che non hanno aderito all’embargo, come India e Cina, ma anche Turchia e Corea del Sud. È troppo presto per pensare che la ripresa della libera esportazione cambi il quadro energetico mondiale, anche a fronte delle immense riserve iraniane e le eccezionali condizioni geologiche che rendono possibile un basso costo di estrazione con alta qualità del greggio. E occorrerà un bel po’ di tempo per permettere al sistema bancario e finanziario mondiale di riprendere il lavoro di gestione dei “future”, ossia della vendita con il sistema di transazione finanziaria del greggio.



È pur vero che le notizie che giungono dagli ambienti energetici mondiali più esperti, ci dicono che gli iraniani lavorano da anni per la fine delle sanzioni, come documenta la costante crescita della capacità produttiva dei campi in cui si sono impegnati negli ultimi anni, anche quando la fine dell’isolamento imposto dagli Usa sembrava lontano. Siamo dinanzi a un gruppo dirigente di grande esperienza e a una nazione che nonostante il dominio ierocratico, ossia di una casta clericale, ha in sé immense capacità intellettuali e strategiche.



Il problema reale sarà la lotta che i sauditi, padroni dell’Opec, inizieranno a condurre contro la produzione iraniana attraverso il crollo guidato dei prezzi provocato dalla sovrapproduzione unita al nuovo scenario provocato dallo shale oil nord americano, che conduce all’abbassamento dei prezzi unitamente alla recessione in corso in tutto il mondo fuorché negli Usa.



Io sono convinto che per queste ragioni la fine delle sanzioni avrà piuttosto ripercussioni sulla produzione mondiale di gas che su quella di petrolio, conducendo a un pesante abbassamento ulteriore del prezzo dello stesso gas. Le riserve di gas naturale in Iran raggiungono il 15 per cento del totale delle riserve mondiali, facendo sì che l’Iran sia la seconda potenza mondiale produttrice potenziale di gas dopo la Russia. Nel gennaio del 2008 il ministro del Petrolio Gholam Hossein Nozari disse che si affidava alla compagnia nazionale iraniana del gas il compito di produrre un bilione di metri cubici di gas al giorno. Ben si comprende l’ampiezza della posta in gioco. Mai come in questi tempi il legame tra politica di potenza e industria energetica emerge in tutta evidenza. Per le sue qualità specifiche più rispettose dell’ambiente e della sicurezza nell’estrazione, il potenziale iraniano di gas risalta in tutta la sua drammatica potenza. Potenza drammatica se non si saprà costruire attorno a essa un regime di cooperazione e non di conflitto.



L’ Egitto da solo non può controbilanciare l’attacco saudita alla risorta potenza iraniana, ma potrebbe, però, limitarne l’impatto. In fondo sia l’Egitto sia la Turchia sono chiamati a svolgere un ruolo che alla loro storia si addice: ritornare a essere, come eredi dell’Impero Ottomano, un nuovo stimolo alla ricostruzione di un equilibrio di potenza che usi in forma cooperativa il ritorno in grande stile della Persia (alias Iran) sulla scena mondiale grazie alle sue risorse energetiche, oggi anche nucleari. E un ruolo altrettanto forte spetterà alla Russia. La paura israeliana potrà essere vinta solo grazie a una ripresa diplomatica di cui il nuovo Trattato di Losanna non può che essere solo un inizio, se si vuole giungere a una pace sostenibile e duratura.