Suicidia per il video hard, lo scandalo della gogna in rete: il diritto all'oblio è senza tutele

Suicidia per il video hard, lo scandalo della gogna in rete: il diritto all'oblio è senza tutele
di Cristiana Mangani
4 Minuti di Lettura
Giovedì 15 Settembre 2016, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 08:40

Lasciate ogni speranza o voi che finite sul web, perché difficilmente riuscirete a far dimenticare il vostro nome o le vostre gesta. Non bastano, infatti, le regole indicate da una sentenza della Corte di giustizia europea del 13 maggio del 2014, secondo la quale, tecnicamente, sparire dal mondo virtuale è possibile. Vedere riconosciuto il diritto all'oblio è cosa ben diversa, anche perché il primo stop è proprio nella difficoltà di stabilire fino a quanti anni di distanza dai fatti possa essere esercitato il diritto dell'individuo a ottenere la cancellazione dei propri dati. Ed è così che si spiega come mai, delle tantissime richieste di rimozione inviate dall'Italia, Google ne abbia accolte poco più del 30 per cento.

IL PRECEDENTE
La sentenza della Corte di giustizia ha garantito agli utenti il diritto a vedere cancellati sui motori di ricerca i link riferiti a informazioni personali ritenute «inadeguate o non più rilevanti». E ha trovato spunto da una vicenda che ha coinvolto Google in Spagna: nel 2009 un avvocato si è accorto che cercando il suo nome, veniva fuori una nota legale del 1998 pubblicata sul sito del quotidiano La Vanguardia che elencava i suoi debiti dell'epoca. Il giornale si era rifiutato di rimuovere le informazioni e altrettanto aveva fatto Google. L'avvocato, allora, aveva seguito tutto l'iter giudiziario fino ad arrivare davanti alla Corte europea, che aveva riconosciuto il suo diritto, fermo restando che andava verificato se ci fosse un interesse pubblico o un diritto alla privacy.
Ma come si esercita il diritto all'oblio, o più correttamente alla deindicizzazione? I colossi del web hanno aperto alla possibilità di essere cancellati proprio in seguito al verdetto del 2014. Google ha messo online una pagina per avanzare le richieste e, fino a luglio, i link cancellati ammontavano globalmente a 580 mila. L'Italia fino a quella data ha presentato 897 istanze legali, in calo rispetto alle 956 del primo semestre. La procedura è semplice: si inseriscono i propri dati, la url che si desidera venga eliminata e una copia del proprio documento d'identità. Se il processo va a buon fine, Google integra nei suoi algoritmi la richiesta e alla successiva ricerca fatta sul nome dell'utente quel link non apparirà più. Tuttavia, anche se il motore di ricerca decidesse di accogliere la richiesta di cancellazione, il vero nemico dell'oblio rimane la viralità, la diffusione sui social network, la possibilità che il contenuto, il video o le foto possano aver raggiunto server incontrollabili, magari con sedi in stati africani o in chissà quale parte del mondo. La url, quindi, se anche non dovesse più comparire quando qualcuno digiterà il nome dell'utente, potrebbe essere ancora raggiungibile tramite altre parole chiave.

LE SOLUZIONI
E non è tutto, perché Google potrà anche decidere di considerare la richiesta illegittima e negare la cancellazione del contenuto. A quel punto che fare? L'utente che deciderà di continuare la sua battaglia potrà fare ricorso al Garante per la privacy con una spesa di 150 euro e un'attesa di massimo 60 giorni. All'Authority spetterà il compito di accettare o respingere la procedura in base al bilanciamento con il diritto di cronaca: se un fatto è troppo recente o è di rilevante interesse pubblico, la risposta sarà negativa. E allora rimarrà solo la carta del giudice civile, e quindi il ricorso al diritto alla vita privata e alla riservatezza che, in qualche modo, coinciderà con il diritto all'oblio. Ma è una procedura che comporterà un impegno economico maggiore a tempi decisamente più lunghi.
È più facile, comunque, ottenere la cancellazione di informazioni riguardanti dati personali piuttosto che notizie legate a fatti di cronaca, vicende giudiziarie o riprese dai mezzi d'informazione. In tanti vi hanno fatto appello non ottenendo soddisfazione. E' successo a Eva Mikula finita nell'inchiesta della Uno Bianca che chiedeva di vedere cancellato uno sceneggiato sui fratelli Savi dove veniva ritirata in ballo la sua vicenda, ma anche tutte le indicazioni che la riguardavano presenti sul web. Il giudice le ha dato torto. E altrettanto è successo a qualcuno vicino a Renato Vallanzasca che ha provato a far sparire le notizie on line sugli anni bui della banda.