Stop desertificazione/Tutto quello che l’Italia deve pretendere per la Capitale

di Osvaldo De Paolini
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Mercoledì 22 Novembre 2017, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 09:40
Roma non ha alcun motivo di rallegrarsi per il deludente epilogo della gara per l’assegnazione della nuova sede dell’Agenzia del farmaco. La sconforto dei milanesi pone infatti un problema che non riguarda più solo il capoluogo lombardo. Riguarda in special modo Roma, o meglio, la Capitale d’Italia. Parliamo del mancato riequilibrio territoriale che il governo avrebbe dovuto porsi come obiettivo prioritario nella scelta della città in cui ospitare le agenzie europee, come pure altre istituzioni di prestigio in corso di trasloco.

Invece di cancellare dalla cartina geografica questa metropoli, con la rilevante fetta di Paese anche a Sud di essa, andrebbe pretesa - a cominciare dal Campidoglio - un’attenzione all’altezza di quella che è o dovrebbe essere la città pilota della nazione. E che invece. per colpe endogene ed esogene, finisce per essere considerata un Comune come un altro. 

Perché di un problema italiano e non municipale stiamo parlando. Il Paese che da decenni contribuisce attivamente a finanziare istituzioni e strutture europee deve pretendere ed ottenere il ritorno, almeno in quota parte, dei suoi sforzi. Quindi stiamo parlando di un doppio sbilanciamento. Quello di Roma rispetto al Nord dell’Italia e quello dell’Italia rispetto ad un’Unione Europea pronta a prendere e indisponibile a dare. Almeno quando si tratta di dare a qualcuno che è fuori dall’orbita di Francia e Germania, ovvero i satelliti del cosiddetto asse franco-tedesco.

Non è casuale l’assegnazione dell’Ema all’Olanda. Più che le sorti di una busta hanno contato le influenze e il voto di scambio. Amsterdam ruota attorno al sole tedesco ed è a due passi da quella incredibile concentrazione di sedi che ospitano le istituzioni europee in una manciata di chilometri quadrati. Stiamo parlando del triangolo Benelux dove le influenze franco-tedesche hanno ammassato la gran parte delle istituzioni. Un luogo non mediano rispetto ai confini dell’Unione, ma guarda caso confinante - fino a diventare un’enclave - della Germania e della Francia. 
In questo quadro si inserisce la questione romana.

Che è un mix di mancato patriottismo, di sindrome della rinuncia e di deficit di protagonismo nelle grandi partite internazionali. Il rischio più grave è quello della desertificazione della Capitale. Sorprende l’incapacità di attivare le grandi potenzialità che pure questa città conserva. 

Scriveva qualche tempo il New York Times: «Roma è talmente bella che i suoi abitanti pensano che la bellezza sia sufficiente». Ma si farebbe torto alla città se non si riconoscesse che dentro e fuori le antiche mura c’è un giacimento di potenzialità che aspetta soltanto di essere valorizzato. Il contesto entro il quale la Capitale ha le sue radici, vale a dire il Lazio, è industrialmente tra i più dinamici sia sul fronte dell’innovazione sia su quello delle eccellenze. Un esempio per tutti è il distretto della farmaceutica, davvero in grado di competere con quello lombardo. Senza trascurare l’automotive, la chimica e i servizi. Per avere un’idea nitida della velocità con la quale si muove il comprensorio regionale, basti ricordare che, giratea le spalle alla crisi, la ripresa delle attività nel biennio 2016-17 viene giudicata «sostenuta» persino da Bankitalia, con esportazioni che si sono incrementate del 15,5%, il doppio della media nazionale.

A proposito di Bankitalia. Tra le perdite di Roma va annoverato anche il trasloco della Vigilanza sullo sponde del Meno, ovvero presso la Bce a Francoforte. Ma a fronte di questo che cosa è tornato o è stato restituito al Paese che lo ha ceduto per il bene comune europeo? Nulla. C’è una sola strada per evitare la desertificazione di Roma e di una larga fetta d’Italia. Evitare che tutto si concentri altrove, dove è già colmo il piatto della bilancia. E’ l’unica strada per trattenere qui le fonti di impresa e di eccellenza, rendendo inutile l’andare altrove dove è stato apparecchiato un contesto più attraente e con i centri decisionali nevralgici.

Roma, nella sua dimensione metropolitana, con i suoi 4 milioni 200 mila abitanti non è dissimile da Berlino o Parigi, che paiono più grandi solo se si considerano le banlieue. Per non dire del numero dei posti letto, che nel Continente la vede terza ma con forti potenzialità di crescita del turismo congressuale, finora non adeguatamente sviluppato, grazie anche allo straordinario patrimonio d’arte e di cultura che solo Roma è in grado di offrire.

Nella deludente vicenda milanese, emerge però con forza un insegnamento prezioso che Palazzo Chigi e il governo di Roma dovranno fare proprio: laddove le istituzioni e le forze politiche, anche di opposte tendenze, mettono a fattor comune le loro volontà e le intelligenze, anche le imprese più difficili divengono possibili. Ecco, bisogna varare un “metodo Capitale” che poggi su tre elementi. La visione globale del Paese, la distribuzione equa delle ricchezze sul territorio e la consapevolezza di Roma, derivante da tutta la sua storia, come simbolo di grandezza e calamita del meglio.
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