Paradisi fiscali, Oxfam: «Black list includa anche 4 Paesi Ue»

Paradisi fiscali, Oxfam: «Black list includa anche 4 Paesi Ue»
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Martedì 28 Novembre 2017, 10:54 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 16:11
Per essere efficace e credibile, la blacklist dei paradisi fiscali dell’Unione europea dovrebbe includere almeno 35 paesi extra Ue, oltre che 4 stati membri della stessa Ue come Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Malta. È quanto evidenzia Oxfam nel suo ultimo rapporto La lista nera sfumata di grigio , dimostrando che i 4 paesi Ue rispettavano i requisiti per rientrare nel gruppo. Tuttavia la lista, la cui pubblicazione è attesa per la prossima settimana, potrebbe rivelarsi più debole a causa delle forti pressioni politiche interne ed esterne, che l’Unione ha lasciato prevalere. Il processo di blacklisting Ue e i risultati dell’analisi di Oxfam Negli ultimi mesi l’Ue ha analizzato 92 paesi e giurisdizioni extraeuropee sulla base di una serie di criteri che includono la trasparenza fiscale e l’esistenza di regimi fiscali che favoriscono il trasferimento di profitti su larga scala.

 

  Ma questi stessi criteri non sono stati applicati agli stati membri, con il risultato che alcuni tra i principali paradisi fiscali non compariranno nell’elenco. Oxfam ha invece usato quei criteri per analizzare i 28 paesi Ue, oltre i 92 presi in esame, arrivando alle conclusioni che Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Malta dovrebbero essere inclusi nella lista; mentre tra i 92 messi sotto esame, almeno 35 possono essere considerati paradisi fiscali. I timori per una lista nera ridotta e poco credibile Il timore è che i governi Ue, nonostante evidenze piuttosto indiscutibili, finiranno col compilare una lista nera annacquata e poco attendibile, al punto che la presidenza Ue, attualmente appannaggio di Malta, si è pubblicamente espressa a favore di una lista nera europea “vuota”, mentre – a seguito di un recente incontro con i ministri delle finanze europei – la Svizzera, uno dei paesi sotto esame, ha dichiarato senza mezzi termini di aspettarsi di non essere inserita in lista.

“La nostra simulazione mostra come dovrebbe presentarsi la blacklist europea se l’Ue applicasse i propri criteri senza farsi condizionare da pressioni politiche di parte – ha dichiarato Aurore Chardonnet, policy advisor di Oxfam sui dossier di giustizia fiscale – Il processo ufficiale di blacklisting avviene però nella più totale segretezza, lasciando i cittadini all’oscuro di tutto e permettendo ai paesi-paradisi di sfruttare il proprio potere d’influenza politica ed economica. Il rischio è quello di ritrovarsi ad avere a che fare con un documento tanto vuoto, quanto inutile ai fini della risoluzione di un problema così grave”. “Se l’Ue vuole davvero porre fine a scandali fiscali come Paradise Papers, Panama Papers, e Luxleaks il primo passo non può che essere quello di produrre una lista nera robusta, oggettiva e coerente. – ha aggiunto Chardonnet – Si tratta di un’occasione imperdibile per neutralizzare l’impatto nocivo dei paradisi fiscali nei propri paesi e in quelli in via di sviluppo. L’alternativa è una lista nera solo nel nome, ma nei fatti piena di sfumature di grigio.”

Nei paradisi fiscali disallineamenti allarmanti fra utili societari registrati e reale attività economica La ricerca di Oxfam evidenzia inoltre come i profitti registrati nei paradisi fiscali siano totalmente disallineati rispetto alla reale attività economica che vi viene condotta: alcuni Paesi attraggono un volume paradossale di utili da royalty, servizi finanziari o altri tipi di prestazioni. Le Bermuda – sede di Appleby, lo studio legale al centro dei Paradise Papers, l’ultimo scandalo sui tesori offshore, - sono meta di un volume di utili d’impresa pari a circa 4,5 volte il loro PIL, mentre alle Bahamas il volume registrato di profitti societari ha doppiato il PIL. Le multinazionali fanno spesso ricorso a prestiti artificiali infragruppo per trasferire utili tramite pagamenti di interessi tra le loro sussidiarie: gli utili riconducibili ai pagamenti di interessi rappresentano il 73% del PIL delle Isole Cayman, il 40% nelle Bermuda, il 24% in Lussemburgo. L’Ue deve rafforzare i propri criteri di blacklisting “L’Unione europea deve potenziare i propri criteri di blacklisting includendovi tutte le pratiche fiscali dannose ed estendere l’analisi anche ai propri Stati membri – conclude Chardonnet – I paradisi fiscali favoriscono l’evasione ed elusione fiscale a livelli parossistici, privando i Paesi di centinaia di miliardi di euro e alimentando povertà e disuguaglianza. L’Ue deve anteporre gli interessi dei cittadini a quelli dei paradisi fiscali e delle grandi corporation, se intende avviare un processo virtuoso di correzione del sempre più insostenibile divario tra ricchi e poveri del nostro tempo. Servono sanzioni rapide, efficaci e concrete per quei paradisi iscritti nella lista nera. Solo così potremo assicurarci che a quei paradisi non corrisponderanno purgatori e inferni”.
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