Dottor Iannuzzi, e ora?
«Mi assumo le mie responsabilità consapevole delle sanzioni che seguiranno a quanto accaduto. Non desidero che le mie scuse possano essere interpretate come un tentativo di giustificazione, in questo momento sento il bisogno di esprimere il mio dispiacere a Luca Abete, per le parole che, in un momento di particolare concitazione, ho pronunciato».
Un epiteto che è il destino di persone svantaggiate. Una doppia offesa, lo sa?
«La tensione in quel momento mi ha sopraffatto. La razionalità e l'equilibrio, indispensabili strumenti di un funzionario di Polizia, hanno lasciato il passo all'impulsività».
Ma come è potuto accadere?
«Il giornalista aveva già avvicinato e intervistato il ministro, le fasi in cui c'è stato il mio errore sono quelle più convulse e delicate quando la personalità stava ripartendo. In più, nel suo ultimo tentativo di raggiungere il ministro, Luca Abete ha colpito e travolto una mia collega che peraltro aveva proprio le mani in alto».
Imperdonabile lasciarsi andare. Ci ha poi riflettuto?
«Certo, ci sto riflettendo ancora adesso anche con la mia famiglia. Credo che anche Abete ci abbia riflettuto perché devo dargli atto che al termine della serata, in ufficio, ha avuto un atteggiamento sereno e costruttivo».
I suoi superiori come l'hanno presa?
«Prima di farlo pubblicamente ho ammesso subito con loro il mio errore. Pur comprendendo la particolarità del momento non hanno nascosto la gravità del fatto».
Pentito per le frasi sui disabili?
«Pentito è troppo poco ho ripensato a quante volte io ed i miei colleghi li abbiamo incontrati e sostenuti e conosco anche i sacrifici dei loro familiari. So che sono stati ingiustamente colpiti dalle mie parole. Da poliziotto e da uomo, chiedo scusa, sono pronto ad accettare una punizione per il mio comportamento e mi auguro solo di avere un'occasione per riscattarmi».
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