Concordia, «Vada a bordo...», e in aula Schettino abbassa lo sguardo

Concordia, «Vada a bordo...», e in aula Schettino abbassa lo sguardo
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Lunedì 9 Dicembre 2013, 14:33 - Ultimo aggiornamento: 10 Dicembre, 18:06

Dalla Costa Concordia ammisero la falla solo venendo contattati pi volte da terra, in particolare dalla capitaneria di Livorno.

Lo dice Gregorio De Falco teste al processo di Grosseto ricordando che «alle 22.38 (l'urto è delle 21.45, ndr) la nave dà il segnale di distress. Chiamo io la nave perchè non convince la situazione di apparente tranquillità che loro dichiaravano. A seguito di questo ammettono che c'è una falla e non un semplice black out, così possiamo inviare motovedette ed elicotteri» di soccorso.

'Vada a bordo, c....!' E Francesco Schettino abbassa lo sguardo agitando un foglio scritto che tiene in mano, mentre parla con uno dei suoi avvocati. Così l'imputato del processo sul naufragio della Costa Concordia reagisce mentre scorre l'audio della telefonata con cui De Falco tentò di convincerlo a risalire sulla nave per coordinare i soccorsi ai passeggeri. Durante la testimonianza di De Falco Schettino ha interloquito spesso con la sua difesa, anche scuotendo la testa e sorridendo in modo nervoso durante le telefonate più concitate e drammatiche con De Falco.

«Mentre dalla nave ci davano rassicurazioni sulla situazione a bordo, i carabinieri di Prato ci avevano avvisato della telefonata di una parente di una passeggera secondo cui la nave era al buio, erano stati fatti indossare i giubbotti di salvataggio, erano caduti oggetti e suppellettili: circostanze non coerenti con quanto dichiarato dalla nave», racconta De Falco. «Questo ci fece pensare che la situazione era più grave» e «nessuno dalla Concordia aveva ancora chiamato per chiedere soccorso». Nei primi contatti via radio, poco dopo le 22, la Costa Concordia aveva detto alla capitaneria di avere un black out e che sarebbe rimasta al Giglio per verificare l'avaria. Ma nessuno allora parlò di falla.

Il colloquio con Schettino. «Quanti passeggeri ci sono ancora a bordo, comandante?». E Schettino: «Non lo so, mi trovo sulla lancia, credo massimo una diecina di persone sull'altro lato»: è una delle prime conversazioni tra Gregorio De Falco, che chiede informazioni dalla sala operativa di Livorno e Francesco Schettino. Ma alla capitaneria risultavano almeno in in quella fase almeno 2-300 persone ancora a bordo. Sono mezzanotte e 28. Ancora De Falco: «Quanti coordinano lo sbarco? Lei dove si trova?». E Schettino: «La nave è giù a 90 gradi, sono su una scialuppa tra la nave e terra». «Comandante: quante persone vede in acqua? Ci sono donne, bambini? Quanti sono? Si stanno buttando in acqua?». «A bordo c'è una decina...». «Può verificare questo dato? Voglio i dati». «Io chiesi quante persone andare a cercare a bordo - ha detto oggi De Falco -, insistevo ma il comandante non mi sapeva dare le risposte».

«Quando sento che non risponde o sembra che non voglia osservare l'ordine che gli ho dato, a quel punto devo necessariamente sapere cosa c'è a bordo della nave per poter continuare il soccorso anche senza la collaborazione del comando di bordo». Lo ha detto il capitano di fregata Gregorio De Falco, della capitaneria di Porto di Livorno, sentito oggi come teste nell'ambito dell'udienza del processo per il naufragio della Costa Concordia che si svolge al Teatro Moderno di Grosseto, riferendosi ai momenti del naufragio e alle telefonate con l'ex comandante Francesco Schettino. «Speravo che il comandante comunque avesse notizia di qualche altro ufficiale, che pure c'era poi in effetti - ha continuato riferendosi agli ufficiali presenti sulla nave - e che mi potesse mettere in contatto con qualche altro ufficiale della nave che conoscesse la nave con cui prendere contatto, ma non fu possibile, non mi diede nessuna indicazione, glielo ho chiesto più volte». «Mettere a bordo persone che non conoscono la nave e che non hanno dimestichezza rispetto alla Concordia - ha concluso - era un grande rischio in quel momento».

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