Si continua sia a destra sia a sinistra ad eludere la vera doppia questione capitale - che cosa voler fare per Roma e chi candidare a farlo - mentre ci si impicca su schemi e disaccordi che lasciano il tempo che trovano. L’ultima trovata è quella di Luigi Di Maio: «Propongo al Pd un patto per il voto romano del 2021, appoggiate la Raggi». E Zingaretti e i suoi rispondono come al solito: «No e poi no» (che in politica significa anche un mai dire mai). Quel che è certo è che ogni giorno che passa Roma sta diventando - e dopo le Regionali del 20 settembre lo sarà ancora di più - il concentrato di tante aspirazioni, velleità e disegni. Anche a costo, purtroppo, di far pagare alla città i giochi politici che la riguardano. Tre partite si giocano su Roma e sulla pelle di Roma.
La prima partita riguarda la Raggi. Lei vuole continuare a fare politica - dopo la pessima performance in Campidoglio - e il piano è questo: riuscire ad arrivare al 10 per cento con la candidatura di Virginia appoggiata dalla lista personale più quella M5S e magari qualche civica come spera Di Maio. Dopo di che, spostare il bottino di voti al secondo turno sul candidato dem - ma chi sarà? Cresce il pressing su Sassoli che non è affatto convinto - e ottenere in cambio per la Raggi il posto di vicesindaco ma più probabilmente una poltrona al governo. In attesa della candidatura - gliela si deve nel più politicistico e vetero-partitistico do ut des, avendo lei agito da testa d’ariete per far saltare il divieto del terzo mandato per Di Maio e per tutti gli altri - al Parlamento nel 2023. Il dibattito su «che cosa facciamo fare a Virginia?» è già cominciato tra i grillini e si basa sulla certezza che come sindaca bis sia spacciata, ma non si arrende come invece dovrebbe fare per il bene di Roma. La partita numero due è ancora più interessante. All’ombra del candidato civico ancora da trovare per il centrodestra - c’è solo l’identikit: non di partito, trasversale, concreto, di alto profilo professionale - le Comunali a Roma avranno il significato anche di una gara modello primarie tra Salvini e Meloni.
GLI EQUILIBRI
Cioè: chi dei loro due partiti arriva primo nella Capitale nei voti di lista, al primo turno, sarà quello che a livello nazionale avrà più peso e maggiore ruolo guida dentro il centrodestra. Questo vale soprattutto per la Meloni: Roma come trampolino di lancio di Fratelli d’Italia per superare, nella competition interna alla coalizione, il Carroccio. Da questa sfida romana, che riveste un’importanza particolare nel 150enario dell’istituzione di Roma Capitale nel 1871, oltretutto deriva - sempre nel centrodestra - il discorso sulle regionali nel Lazio del 2023 (che potrebbero anche essere anticipate). Ora in pole position come candidato presidente c’è il leghista Claudio Durigon, ma un successo di FdI aprirebbe all’ipotesi di un meloniano come aspirante governatore e potrebbe trattarsi di Francesco Lollobrigida.
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