«Voi cosa volete fare, volete contare e decidere o stare a guardare mentre i partiti decidono per voi?». Giorgia Meloni, telecamera al seguito, passeggia nell’anticamera della Sala Verde a palazzo Chigi. Alle spalle i ritratti degli ex presidenti del Consiglio. Davanti invece, l’orizzonte di una lunga campagna referendaria. Con un Matteo Renzi quasi corrucciato nella cornice alla sua destra, la premier dà infatti il via alle grandi manovre comunicative che - nelle intenzioni meloniane - porteranno alla Terza Repubblica. Magari senza neppure passare per le urne: «Noi cercheremo il consenso ampio necessario in Parlamento, ma se non sarà possibile saranno gli italiani a doversi esprimere con un referendum» sulla «madre di tutte le riforme». Eventualità che - pur non volendo personalizzare il voto per evitare inciampi già visti tra chi è oggi incorniciato a Palazzo Chigi - Meloni non rifugge, anzi. In diretta a reti unificate sui suoi canali social infatti scandisce: «Sarete anche voi a dirci se volete mettere fine alla stagione dei giochi di palazzo, dei ribaltoni, delle maggioranze arcobaleno, dei governi tecnici, dei governi che durano un anno e mezzo». Poi la chiusa: «Sono convinta che gli italiani non si faranno scappare questa occasione».
Gli interventi
Un vero e proprio taglio del nastro diluito in 54 minuti di monologhi tra “Appunti di Giorgia” (a sera) e video-messaggi inviati alle assemblee nazionali della Cna (al mattino) e di Confindustria Bergamo e Brescia (nel primo pomeriggio).
La strategia
Quel «non disturbare chi vuole fare» del resto, non è più solo l’esortazione che Meloni continua a ripetere alle imprese ma anche un mantra che la premier sembra ripetere a sé stessa. Che si parli di riforme, migranti, politica estera o del voto per l’europarlamento, la strategia meloniana verso giugno è imperniata solo su di lei. «Il brand Meloni funziona» scandisce infatti chi le sta accanto a chi chiede dell’ipotesi di una sua discesa in campo diretta per trainare i risultati europei. Specie perché, al contrario, non cresce quello di molti dei suoi fedelissimi.
Quel «ci metto la faccia» caro alla premier (nell’ultimo mese lo ha declinato a Lampedusa e a Caivano) e talvolta poco digeribile per gli alleati di governo, in questa fase si traduce in iniziative come il “premier-time” a cui Meloni accetterà di sottoporsi per spiegare in Parlamento alle opposizioni il contestato accordo con l’Albania e in un certo attivismo diventato evidente ieri.
La premier è convinta di essere ad un giro di boa e preme sull’acceleratore per allontanare certi fantasmi. «Non c’è davvero niente che possa buttarci giù soprattutto fin quando c’è il consenso degli italiani» rassicura. E, poi, tornando all’anticamera della Sala verde e alle foto di tutti i premier: «C’è uno spazio vuoto dove comparirà anche la mia foto alla fine del mio mandato, ma ci vuole tempo, almeno 4 anni». Referendum permettendo.