Effetto borse di studio: giovani medici in fuga verso la Sanità del Nord. L'allarme sull'Autonomia

Nodo stipendi e posti disponibili. «Così nessuno resterà a fare il medico al Sud»

Effetto borse di studio: giovani medici in fuga verso la Sanità del Nord
di Andrea Bulleri
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Martedì 7 Febbraio 2023, 07:06 - Ultimo aggiornamento: 09:07

Sempre più giovani medici al Nord, sempre meno al Sud. C'è un aspetto che, tra le istanze «eversive» segnalate dal Gimbe sul progetto di autonomia differenziata voluto dalla Lega, preoccupa più degli altri i rappresentanti dei camici bianchi. Ed è il rischio che alla «fuga» dei pazienti in cerca di cure verso il Settentrione un vero e proprio esodo che, secondo la fondazione guidata da Nino Cartabellotta, è costato al Mezzogiorno 14 miliardi di euro in dieci anni si accompagni un'ulteriore diaspora. Quella dei giovani medici in formazione. In altre parole, gli specialisti del prossimo futuro, spesso utilizzati già nel presente dalle aziende sanitarie per far fronte alle carenze di organico degli ospedali. Professionisti che un domani tutt'altro che remoto, per le associazioni di categoria, potrebbero vedersi costretti a migrare verso Nord, attratti dalla maggiore disponibilità di borse di studio e dalle migliori condizioni di lavoro. A cominciare dalla busta paga.

L'ALLARME

A lanciare l'allarme, tra gli altri, è Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaao-Assomed, uno dei sindacati più rappresentativi dei dottori. Che non ha dubbi: il ddl sull'autonomia differenziata licenziato in prima battuta dal consiglio dei ministri è un «provvedimento di disgregazione sociale». E non per una ragione soltanto. «La fuga dei medici al Nord? Non è un rischio, è una certezza», affonda Di Silverio. «Ogni Regione avrà campo libero per fare ciò che vuole. Sia sugli stipendi dei medici, sia sul numero dei giovani specializzandi da assumere e sui loro compensi», osserva. «Risultato? Si va verso un sistema sempre più competitivo tra Regioni. E alla mobilità dei pazienti si aggiungerà quella dei sanitari. Finendo per mettere in discussione uno dei pilastri del nostro stato sociale, l'universalità delle cure».
Un passo indietro.

Il numero delle borse di specializzazione, che determineranno il totale dei futuri specialisti, attualmente è stabilito a livello centrale, dal ministero della Salute. E il compenso per i giovani medici è il medesimo ovunque, da Milano a Palermo. Se però la golden share sulla sanità passasse in toto alle Regioni, ognuna farebbe per sé. Potendo decidere autonomamente quanti nuovi sanitari assumere e quanto retribuirli. E innescando inevitabilmente quella che Filippo Anelli, presidente dell'Ordine dei Medici, definisce una «concorrenza sleale» tra Regioni. «Sleale perché nell'attuale contesto di difficoltà nel reperire dottori, specie nei reparti di urgenza, i territori più ricchi potrebbero alzare la posta offrendo condizioni migliori, a discapito delle altre».

Il problema non riguarda solo i giovani (che pure sono coinvolti in prima battuta in quanto mediamente più disponibili a spostarsi). Ma pure gli specialisti già formati. «Già adesso denuncia Anelli è in corso una gara impari tra Regioni, con disuguaglianze palpabili: al Nord i gettonisti sono presenti in tutte le asl, e sono pagati bene. Al Sud invece, per far fronte alle carenze di organico, bisogna affidarsi a medici cubani o argentini. Sulle cui competenze talvolta non disponiamo delle adeguate certificazioni».

L'APPELLO

Un problema ben presente anche a Gimbe, la fondazione punto di riferimento durante il Covid per i dati sulla pandemia. Che ha definito la riforma promossa da Roberto Calderoli il «colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale». E non è un caso se anche il titolare della Salute, Orazio Schillaci, ha sottolineato la necessità che il ministero mantenga saldo il suo ruolo di «coordinamento» rispetto alle Regioni, a cominciare dal «potere di indirizzo e distribuzione dei fondi».

Appello che il presidente dell'Ordine dei medici condivide appieno. «Il regionalismo in sanità l'abbiamo già sperimentato, e non ha ridotto i divari tra Nord e Sud. Al contrario sottolinea Anelli, nonostante la dotazione del fondo sanitario sia aumentata di 14 miliardi in quattro anni, le migrazioni dei pazienti non si sono ridotte. Piuttosto bisognerebbe andare in direzione contraria conclude perché un meccanismo così disomogeneo difficilmente produce efficienza». Di Silverio aggiunge un tassello: «La riforma non elimina il criterio della spesa storica. E dunque rischia di acuire le distanze tra i 21 sistemi sanitari esistenti. Vogliamo davvero due Italie?», si chiede il numero uno del sindacato. «Io non le voglio. E credo non le vogliano neanche i pazienti».

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