Intercettazioni, Bartoli (Cnog): «Tocca ai pm impedire gli abusi: no a nuove norme sui giornalisti»

Il presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti: "Sono i magistrati che devono vagliare le informazioni"

Intercettazioni, Bartoli: «Sta ai pm impedire gli abusi: no a nuove norme sui giornalisti»
di Andrea Bulleri
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Domenica 22 Gennaio 2023, 07:43 - Ultimo aggiornamento: 11:53

«Il rispetto della persona è fondamentale, ma va bilanciato col diritto di cronaca. Una legge sulle intercettazioni c'è già: basta applicarla. E a farlo dobbiamo essere sia noi cronisti che i magistrati: sono loro a vagliare le informazioni che arrivano alla stampa».

Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti: l'esecutivo vuole mettere un freno alla pubblicazione di conversazioni private che non hanno a che fare con le inchieste giudiziarie. Intenzione condivisibile?
«Sì. Il rispetto della persona è sacrosanto, ma va contemperato con il diritto del cittadino all'informazione. Il punto è come si ottiene questo equilibrio».

Già, come?
«O il giornalismo si auto-regolamenta, oppure si rischia di sconfinare nell'informazione di regime. È così ovunque, nei Paesi democratici.

La bulimia legificatrice non serve: non esiste una legge che possa dire, caso per caso, dove inizia e finisce il diritto all'informazione, dove l'essenzialità delle notizie si trasformi in voyeurismo e disprezzo per la dignità della persona».

Dal governo ribattono che l'auto-regolamentazione della categoria, però, non basta, perché di «abusi»
se ne continuano a vedere troppi.

«Riferire delle conversazioni di un politico riportate negli atti di un'inchiesta può essere assolutamente lecito, se ha un rilievo politico. Non lo è se la conversazione esprime sentimenti nei confronti del proprio partner, riferimenti alla vita familiare, dettagli su congiunti. Su questo esiste un'ampia giurisprudenza, e anche la legge, dal 2017, c'è già ed è sufficiente. Semmai bisogna applicarla meglio».

E come si fa?
«Basta che i magistrati che sono responsabili dell'inchiesta vaglino con attenzione ciò che è di interesse pubblico, e quindi può o deve essere diffuso, e ciò che non lo è. Lo stesso devono fare i giornalisti».
Lei è un cronista, sa bene che quando le carte di un'inchiesta arrivano ai giornali la tentazione di pubblicare anche ciò che non è indispensabile può essere forte.

Serve più controllo a monte?
«Sicuramente. Infatti la legge 216 del 2017 affida alla magistratura, e quindi ai pm, il compito di operare una cernita sulle informazioni che sono pertinenti e quelle che non lo sono. E molti degli abusi segnalati risalgono a prima che la riforma entrasse in vigore. Anche i giornalisti hanno delle responsabilità: non è possibile asfaltare qualcuno solo per fare un titolo più accattivante. Ma questo non può giustificare nuove limitazioni. Sarebbe come decidere di sottoporre a chemioterapia tutta la popolazione perché alcuni sono malati di tumore».

E le paventate sanzioni per i giornalisti? Che ne pensa?
«Come Ordine siamo pronti a sanzionare chi ferisce senza motivo la dignità delle persone, con dettagli che nulla hanno a che vedere con il diritto di cronaca. Ma serve una semplificazione perché per un provvedimento disciplinare, oggi, servono cinque gradi di giudizio, due dell'Ordine e tre della giustizia ordinaria. Non succede in nessun altro Paese al mondo. Si parta da qui».

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, dalle colonne di questo giornale, chiede di avviare un confronto con l'Ordine. Sareste disponibili?
«Assolutamente sì, siamo pronti a portare al tavolo le nostre proposte. Ne cito due. È necessario che non sia punibile la pubblicazione delle sanzioni disciplinari: oggi render nota la sanzione inflitta a un collega espone alla possibilità di essere chiamati a una pretesa risarcitoria anche ingente in sede civile».

E la seconda?
«Occorre istituire in seno all'Ordine un Giurì dell'informazione, che possa intervenire in maniera immediata nei casi di pubblicazione ingiustificata di dettagli inessenziali. Le sanzioni, oggi, arrivano a distanza di anni. Per quanto riguarda la deontologia ci stiamo già muovendo, comunque. E il 3 febbraio, nel 60esimo anniversario della legge che istituisce l'Ordine, lanceremo un'iniziativa per ribadire che questa professione è centrale per la democrazia. E per chiedere alcuni interventi a tutela del dovere di informare».

Cioè?
«Una legge contro le querele bavaglio e una riforma del diritto all'oblìo, per cominciare».

È di pochi giorni fa una sentenza della Cassazione a suo modo storica, perché tutela il diritto dei giornali al copyright. Una vittoria per la categoria?
«Sicuramente sì, non solo per le aziende editoriali. Così come è una vittoria per i giornalisti la decisione dell'Agcom, che prevede che agli editori vada una parte dei ricavi pubblicitari ottenuti dalle grandi piattaforme come Google e Facebook grazie alla pubblicazione dei loro contenuti. Ora però bisogna vigilare affinché i benefici siano estesi anche ai piccoli giornali periferici».

La pirateria dei giornali però resta un fenomeno ancora diffuso, specie sui social. Come si combatte?
«Molto si sta già facendo, molto bisogna ancora fare. Ad esempio sulla possibilità di perseguire i responsabili a prescindere dal Paese in cui si trovano. E poi bisogna educare i lettori: l'informazione di qualità ha un costo. Se qualcuno ci bussasse alla porta proponendoci un'enciclopedia gratis, qualche domanda ce la faremmo. Lo stesso dobbiamo fare con gli articoli di giornale».

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