E tre. Dopo la riconferma di aprile in Friuli e la vittoria in gran parte dei capoluoghi alle Comunali maggio, il centrodestra incassa il terzo successo elettorale in tre mesi, in Molise. A trionfare è Francesco Roberti, sindaco di Termoli e presidente della provincia di Campobasso, nonché esponente della prima ora di Forza Italia. A più di metà delle schede scrutinate, Roberti (appoggiato, oltre che da FdI, Lega e FI anche dagli esponenti locali di Italia viva confluiti nel simbolo dell’Udc) viaggia su percentuali che superano il 64%. Al punto che nonostante la lentezza dello spoglio lo sfidante del centrosinistra, Roberto Gravina, concede ben presto l’onore delle armi al nuovo governatore. Il sindaco di Campobasso, grillino – ma sostenuto anche da Pd, Verdi-Sinistra e liste civiche – si ferma trenta punti sotto, intorno a quota 34%. E non è esagerato parlare di crollo, per il fronte progressista: cinque anni fa i pentastellati avevano fatto meglio (38%), pur correndo da soli. Poco importa, insomma, che il Pd esca «fortemente rafforzato» – come rivendicano dal Nazareno – rispetto al 2018. Il “patto della limonata” tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein, l’alleanza progressista siglata in un bar di Campobasso, non ha portato i frutti sperati. Tanto che gli uomini di FdI in Abruzzo, dove si voterà l’anno prossimo, punzecchiano: «A questo punto, auspichiamo che anche qui ci sia la stessa colazione perdente dei Cinquestelle col Pd, che tanto porta bene al centrodestra...».
L’ESULTANZA
Sale così a sedici il conto delle Regioni amministrate dai partiti di maggioranza, contro le quattro che rimangono all’opposizione.
Anche perché FdI si conferma stabile al primo posto, portando a casa più del 20% delle preferenze.
Assai più mesto è l’umore nel centrosinistra. Dove lo sconfitto Gravina si rende conto ben presto che la partita è chiusa: «Ho mandato un messaggio di congratulazioni a Roberti», concede in serata: «Nell’altra coalizione evidentemente hanno costruito un’alleanza che ha funzionato di più. Il nostro, comunque è un progetto che deve avere un seguito», chiosa, annunciando l’intenzione di voler guidare la minoranza in consiglio regionale. Mentre sceglie (per ora) il silenzio Elly Schlein. Al Nazareno i più ottimisti speravano in un testa a testa, qualcuno ipotizzava una sconfitta di misura. Lo scenario che esce dalle urne, invece, è quello di una disfatta. E la segretaria sa che dalle prossime ore dovrà fare i conti con i malumori della minoranza interna, dove crescono i dubbi sull’opportunità di insistere nell’asse coi pentastellati. Tanto più che, stavolta, la leader dem non potrà addossare la responsabilità della sconfitta alle candidature già chiuse prima del suo esordio alla guida del Nazareno, come successo alle Comunali: la batosta molisana porta (anche) la sua firma.
GLI SCONFITTI
I dem in ogni caso provano a vedere il bicchiere mezzo pieno: il Pd «sarà in campo come prima forza di opposizione e secondo partito in Regione, con una rappresentanza fortemente rafforzata». E nulla, è la linea, va rimproverato «al nostro candidato, il più competitivo tra i nomi possibili». A pesare, piuttosto, per la segreteria del Pd è stata la scarsa affluenza: al voto ha partecipato meno di un elettore su due, il 47,9% degli aventi diritto. Ma soprattutto un ruolo ce l’ha avuto la débacle degli alleati, a cominciare dai grillini. Che crollano dal 38,5% del 2018 (e dal 24,3% delle scorse Politiche) a circa il 7%. Il Pd «ha corso per vincere», rivendicano dal Nazareno, «ricercando il massimo del coinvolgimento e di allargamento della coalizione». E se questo per i dem «ha pagato, altrettanto non si può dire per il resto delle liste al nostro fianco».
Anche a destra, del resto, non tutti festeggiano con eguale trasporto. Se Lega e FdI brindano, gli sforzi di Matteo Salvini in campagna elettorale non sembrano aver ripagato la Lega: a più di metà sezioni scrutinate, il Carroccio si ferma poco sopra il 5%. Va meglio Noi moderati di Maurizio Lupi, al 6,6%.