«Ho sognato tutta la vita di riproporre la maschera di Gilberto Govi e finalmente ci sono riuscito: non voglio interpretarlo né imitarlo, aspiro proprio alla clonazione». A 76 anni, Tullio Solenghi riavvolge il nastro del tempo per avvicinarsi al modello che tutti gli artisti genovesi hanno avuto come riferimento: Amerigo Armando Gilberto Govi (1885-1966), la più grande maschera del repertorio teatrale scritto in dialetto genovese. Una delle sue più popolari interpretazioni è quella di Steva, il protagonista maschile della commedia I maneggi per maritare una figlia, di cui esiste una versione televisiva del 1959.
LA COMPAGNIA
Ed è proprio con I maneggi, commedia scritta da Nicolò Bacigalupo (poeta e drammaturgo nato a Genava nel 1837 e morto nel 1904), che Solenghi si presenta sul palcoscenico del Teatro Quirino di Roma (da oggi fino al 14 aprile), con una compagnia di attori capeggiata da una delle più solide interpreti contemporanee, Elisabetta Pozzi. «È fondamentale che Elisabetta non nasca comica per affrontare un personaggio come quello della perfida Giggia, che era interpretato da Rina Gaioni, moglie di Govi: è lei la grande manipolatrice che "maneggia" per sposare a tutti i costi la figlia con un senatore, mentre il padre l'aveva promessa più naturalmente a un cugino, coetaneo della ragazza» spiega Solenghi che, per costruire sul proprio volto la maschera di Steva, ha chiesto l'intervento della truccatrice Bruna Calvaresi: «Grazie alla sua arte, somiglio in maniera impressionante a Govi: ogni ruga, ogni dettaglio, sono studiati per restituire quella magia del suo ingresso in scena».