«Non parlo russo, ma il mio cuore è qui, con voi». Con queste parole, dette un pò in lingua locale e un pò in italiano, Pupo ha concluso questa sera le tre ore di concerto davanti al pubblico che gremiva l'immensa sala del Palazzo di Stato del Cremlino, in epoca sovietica sede dei congressi del Pcus, situato a poche centinaia di metri da quello presidenziale. Chi si aspettava dichiarazioni politiche, o parole di elogio per il presidente Vladimir Putin, è rimasto deluso. Solo un breve invito, rispondendo alla domanda dei due conduttori, a non cedere «all'ostilità che porta ad emarginare la cultura russa, patrimonio di tutta l'umanità».
Il concerto
Per il resto è il concerto è stato una rassegna dei suoi più grandi successi, in cui ha duettato con una quindicina di cantanti russi che hanno interpretato con lui i suoi brani, parte in russo e parte in italiano. Tra questi, 'Un amore grandè, che in un'intervista all'agenzia russa Tass Pupo ha definito un auspicio «perché torni l'amore tra popoli, specie tra i due popoli che stanno vivendo questo momento difficile». Un accenno alla guerra è tornato nel brano 'L'angelo postinò, cantato con l'accompagnamento di un coro di ragazzi e bambini vestiti di bianco, con i versi che parlano di «bambini nati laggiù, dove fanno la guerra, li ho visti in tivù». E poi «mai più pagheremo per gli errori dei grandi, il buio finirà».
L'omaggio
Il cantante toscano ha dialogato spesso con il pubblico, specie con le ragazze e donne che si sono avvicinate al palco per offrirgli fiori, avere un autografo ed essere baciate.