Fabrizio Moro: «Meritavo di più, ma non faccio parte del giro che conta. Ho fatto il facchino e il meccanico»

Il cantautore romano racconta alti e bassi della sua carriera in occasione dell’uscita del nuovo Ep “La mia voce”: «Mi hanno snobbato»

Fabrizio Moro: «Meritavo di più, ma non faccio parte del giro che conta. Ho fatto il facchino e il meccanico»
di Mattia Marzi
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Sabato 20 Maggio 2023, 08:58 - Ultimo aggiornamento: 09:35

«Spesso mi sono messo in movimento per trovare un punto di arrivo anche se non esisteva. Soprattutto nei momenti di disperazione: non sapevo dove andare», dice Fabrizio Moro. A vent'anni il cantautore romano sfogava la sua rabbia suonando musica punk negli scantinati di San Basilio, a trenta si preparava a prendersi le sue rivincite dopo una lunga gavetta, a quaranta cantava la sua frustrazione anti-sistema, a 48 canta le sue consapevolezze, usando più testa e meno pancia rispetto al passato.
Ieri è uscito il nuovo Ep La mia voce vol. 2, che arriva a un anno dal primo volume, uscito in concomitanza con la partecipazione al Festival di Sanremo 2022 con Sei tu e l'uscita del primo film da regista - diretto insieme al braccio destro Alessio De Leonardis - Ghiaccio, con Giacomo Ferrara e Vinicio Marchioni: il disco, presentato ieri alla Discoteca Laziale, contiene 6 brani che raccontano un Moro inedito, più riflessivo che in passato.
Questa saggezza da dove è arrivata?
«Dalla carta d'identità, inevitabilmente. In questi sei pezzi, scritti durante i mesi del lockdown, c'è molta vita vissuta. È un racconto che parte addirittura da quando avevo vent'anni. Il sole, il brano che ha sbloccato il processo di scrittura del disco, l'ho scritta dopo aver incontrato un ragazzo del mio primo gruppo di amici che si è ammalato di leucemia. Riavvolgendo il nastro dei ricordi con lui ho ripensato a tutti gli amici persi lungo la strada. Il primo, Daniele, se ne andò quando io avevo 23 anni: un incidente con la moto. L'anno dopo firmai il mio primo contratto discografico con la Ricordi. Ma il primo Sanremo, nel 2000, fu un disastro e l'etichetta stracciò le carte. Mi sarei riscattato solo nel 2007, con Pensa».
Nel mezzo?
«Feci di tutto: il meccanico nell'officina di papà a San Basilio, l'operaio in una serigrafia a Pietralata, il facchino in un albergo romano. Dopo Pensa credevo che la strada fosse in discesa: non fu così».
Perché?
«Quell'album andò bene. Il secondo ancora meglio. Ma il terzo vendette pochissimo. Il contratto con l'etichetta scadde e non fu rinnovato. Mi misi in proprio, fondando la mia etichetta (La Fattoria del Moro, ndr). La seconda rinascita arrivò grazie a Portami via, nel 2017. A volte penso che forse avrei dovuto avere di più, dalla carriera».
Cosa gliel'ha impedito?
«Lo snobismo. Gli addetti ai lavori dicevano: "Ma Moro canta ancora?". Non sono mai entrato nel circoletto di quelli che contano».

 


Il fatto di non avere un padre discografico, come Niccolò Fabi, o autore tv per Maurizio Costanzo, come Daniele Silvestri, l'ha svantaggiata o le ha fatto venire più fame?
«Mi ha fatto venire più fame. È anche grazie a quella frustrazione da outsider se ho scritto dischi che mi hanno permesso di diventare uno dei cantautori più rappresentativi della mia generazione».
Ai David 2023 il suo "Ghiaccio", nonostante due Ciak d'oro, non ha ottenuto nomination: si è sentito escluso?
«Ci sarebbero molte cose da dire, ma gliele racconto a microfono spento (ride). Forse come opera prima il mio film poteva ambire a una nomination».
Cosa gli è mancato?
«La fiducia. Inevitabile, trattandosi del film d'esordio da regista di uno che nella vita canta».
A settembre inizierà a girare il nuovo film. Pensa di essere entrato nel giro giusto dal punto di vista cinematografico?
«Non saprei.

Sia Ghiaccio che il prossimo, di cui non posso anticipare dettagli, sono prodotti da Francesca Verdini (compagna di Matteo Salvini, ndr). È bistrattata per motivi politici che non c'entrano con l'arte. Io non bado a bandiere. Perché non me li dà uno di sinistra i soldi per fare i film?».

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Glieli ha chiesti?
«Per Ghiaccio ho girato mille uffici. L'unica a mostrare un minimo di interesse è stata lei: si è appassionata al progetto».
A 48 anni ha capito qual è stata la sua fortuna?
«La fame di riscatto. E il pubblico: riconosce che in quello che scrivo c'è autenticità. Sono quello che canto e canto quello che sono».
L'amore?
«Oggi sono solo. Penso a me stesso. Nella canzone che chiude il disco, Tutte le parole, parlo di una relazione tossica. Ne ho avute diverse. E sa perché?».
Dica.
«Non cercavo la pace interiore».
E cosa cercava?
«L'adrenalina. Il brivido che senti quando incontri una persona che ti piace. Quella è una droga. Ma non ha niente a che fare con l'amore. Ci ho messo quasi 50 anni per capirlo».
 

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