Edoardo Leo: «Ecco il mio Otello, un criminale tra Anzio e Nettuno. Il politically correct? ​Dalla morale al moralismo è un attimo»

L’attore e regista ha presentato a Locarno “Non sono quello che sono”, la sua versione moderna dell’opera di Shakespeare. «Non rinnego la commedia. Ma interpretare Jago, l’essenza del male, era un sogno per me»

Edoardo Leo: «Ecco il mio Otello, un criminale tra Anzio e Nettuno. Il politically correct? Dalla morale al moralismo è un attimo»
di Gloria Satta
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Lunedì 7 Agosto 2023, 00:12

La tragedia di Otello attualizzata agli anni Duemila e recitata in romanesco, protagonista una gang criminale in azione sul litorale laziale tra Anzio e Nettuno. Temi affrontati da Shakespeare nel lontano 1603 ma sempre attuali come mascolinità «tossica», femminicidio, gelosia, invidia, lotta per il potere. E gli applausi degli 8 mila spettatori riuniti nella Piazza Grande di Locarno: ha avuto una bellissima accoglienza al festival svizzero Non sono quello che sono, il nuovo film di Edoardo Leo anche protagonista nei panni di Jago. Un’operazione più che riuscita, una sfida vinta da parte dell’attore e regista romano che, dopo un lungo e accurato lavoro di sceneggiatura, ha portato sullo schermo la versione fedele del testo shakespeariano e si è circondato di un ottimo cast (Jawad Moraqib, Ambrosia Caldarelli, Antonia Truppo, Matteo Olivetti) immerso nella luce livida del mare invernale restituita dall’efficace fotografia di Marco Bassano. Il film uscirà prossimamente con Vision. «Vorrei proiettarlo anche nelle scuole», dice Leo, 51 anni e tanta carne al fuoco: la commedia a episodi I peggiori giorni (in sala il 14 agosto), il film di Liliana Cavani L’ordine del tempo atteso a Venezia, la serie Rai Il clandestino.

Non ha temuto che il suo Shakespeare modernizzato fosse una proposta troppo sofisticata per il pubblico del cinema?
«No, al contrario: Otello è una tragedia popolare che riflette tanti casi di cronaca.

Ho avuto l’idea 15 anni fa proprio leggendo di un femminicidio-suicidio su un quotidiano. Dopo 400 anni l’idea patriarcale del possesso maschile di una donna non è molto cambiata... Non sono il primo, dopo Eduardo e Martone, a puntare sul dialetto per restituire la poesia di Shakespeare. Immaginando Otello come un criminale, ho tolto romanticismo ed empatia al personaggio. È un assassino».

Tra film e serie, non sta facendo troppe cose?
«Non sono quello che sono è stato girato prima della pandemia e oggi si ritrova ad uscire in un mercato ultra-affollato. Comunque per un anno non metterò piede sul set: farò solo teatro riprendendo la tournée dello spettacolo Ti racconto una storia».

Ha una carriera ventennale vissuta a passo di carica, qual è la spinta che oggi la motiva?
«Uscire dalla mia comfort zone per confrontarmi con sfide sempre diverse, per trasformarmi».

Rinnega la commedia che le ha dato il successo?
«No, per carità, tornerò a farla. Ma interpretare Jago, essenza del male e ruolo per cui sono ingrassato 20 chili, era uno dei miei sogni adolescenziali».

 

Perché ha diretto, in tandem con Massimiliano Bruno, “I peggiori giorni”?
«Oggi che domina il pensiero politicamente corretto volevamo realizzare una commedia feroce sui difetti della società. Senza porci dei limiti, secondo la migliore tradizione italiana di questo genere cinematografico».

Il politically correct è un ostacolo insormontabile?
«Intendiamoci: ci sono battaglie civili giustissime da portare avanti. Ma dobbiamo evitare che si trasformino in autocensura. L’irriverenza fa parte della satira e non può essere eliminata. Dalla morale al moralismo è un attimo».

Quali doti l’hanno portata al successo dopo tanta gavetta?
«La curiosità, la perseveranza, l’intransigenza verso me stesso che ha spostato sempre più in alto l’asticella della qualità».

Non ha mai nascosto di aver ricevuto tante porte in faccia: la più dolorosa?
«Vent’anni fa fui cacciato dal set di una fiction, di cui non rivelerò il titolo nemmeno sotto tortura, dopo appena due settimane perché non ero ritenuto adatto».

Si sono per caso rifatti vivi dopo che è diventato famoso?
«Si, mi hanno proposto un lavoro e ho detto di no. Ma non si è trattato di una rivalsa né di un atto eroico. Ho semplicemente continuato il mio cammino artistico».

Cosa accomuna voi cinquantenni che costituite l’attuale star system italiano?
«Abbiamo percorso tutti una lunga strada fatta di studio, lavoro e pazienza. Siamo arrivati al successo con molta calma».

Cosa pensa dello sciopero degli attori americani?
«Con il nostro sindacato Unita lo appoggiamo. È importante vedere che tante star si mobilitano generosamente per chi non ha voce».

Allora perché non scioperate anche voi?
«Non possiamo perché non abbiamo ancora un contratto nazionale di lavoro. E proprio per ottenerlo ci stiamo ora battendo».

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