Uccide l'uomo che investì la moglie, i genitori della donna: «Roberta non avrebbe voluto vendette»

Uccide l'uomo che investì la moglie, i genitori della donna: «Roberta non avrebbe voluto vendette»
di Gianni Quagliarella e Giovanni Sgardi
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Venerdì 3 Febbraio 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 14:15

Padri di figli ammazzati. Dai giorni dell’odio a quelli dello strazio, a Vasto. «Roberta questo non lo avrebbe voluto» piange Nicolino Smargiassi, il padre della ragazza falciata a morte lo scorso primo luglio dall’auto di Italo D’Elisa, 22 anni, ucciso a colpi di pistola da Fabio Di Lello, vedovo vendicatore. Nicolino, rosario tra le mani, supplica la fine di tanto dolore e tanti veleni. Ma Angelo D’Elisa, l’altro padre, quello del giovane trucidato in strada con addosso il giubbino fosforescente di volontario della Protezione civile con cui aveva soccorso i disgraziati abruzzesi colpiti da tante calamità, per ora non sembra disposto a perdonare: «Non era giusto vendicarsi così. Non ho parole per giustificare la persona che ha fatto quest’atto osceno. Non lo doveva fare, mi dispiace ma non era giusto farlo».

VOCI DI PROVOCAZIONI
Dicono che ad armare la mano di Fabio Di Lello, fornaio ed ex calciatore dilettante, negli ultimi mesi seguito da uno psicologo, sia stato il comportamento di Italo D’Elisa. Mai una richiesta di perdono per non essersi fermato a quel semaforo rosso, piombando sul motorino di Roberta. Forse incinta. Poi, dopo il ritiro della patente, la richiesta del ragazzo di guidare lo scooter per andare al lavoro, in fabbrica. Con quello scooter, chissà se è vero, avrebbe sfrecciato rombando davanti Fabio Di Lello, quando lo incrociava nelle vie della città. Affronti, offese da lavare con il sangue, avrà pensato il panettiere-calciatore. La mente sconvolta dalla perdita di quella moglie che andava a trovare tutti i giorni al cimitero, consumando perfino il pranzo sulla sua tomba. Comunque sia andata, Nicolino Smargiassi invita a fermare la spirale di morte: «Basta, chiedo perdono a tutti a nome di Roberta. Il suo Fabio è un bravissimo ragazzo e lo sarà sempre, non so che gli è preso». Beh, si è procurato una pistola (regolarmente detenuta con porto d’armi sportivo), poi ha ucciso a sangue freddo. 

LE MANCATE SCUSE
Si sente di difendere suo genero? «No, non doveva farlo. Ma lo vedevo tutti i giorni, sembrava sereno. Mai avrei immaginato. Poi, l’altra sera, dopo il delitto, l’ho incontrato al cimitero. Io non sapevo nulla. Mi ha strattonato per qualche metro poi, abbracciandomi, mi ha detto: “ho fatto una cazzata”. Ho mormorato: “no, non dovevi farmi questo” E lo ripeto: no non doveva farlo. Purché tutto questo dolore finisca». Perdono è una parola incandescente, si entra nella carne viva di queste famiglie. Forse è il motivo stesso del noir vastese. «Abbiamo atteso invano un gesto di pentimento di Italo - prosegue Silvana, la mamma di Roberta -. L’avremmo accolto, avremmo accettato le sue scuse. Ma doveva essere lui a farsi avanti, non certo gli zii o inviando fredde lettere di circostanza. Da parte nostra non c’è mai stato astio. Nemmeno Fabio sembrava meditare rancore. Comprendiamo il dolore dei D’Elisa, mi dispiace. Non volevamo che finisse così. Ora che anche loro hanno perso un figlio, conoscono il dolore che brucia». E se sui social monta la solita rabbia qualunquista sul leit-motiv della denegata giustizia, il procuratore Giampiero Di Florio fissa i paletti di un’indagine dai tempi ineccepibili: «Dal momento dell’incidente, 1 luglio, all’udienza preliminare che doveva essere celebrata il 21 febbraio a carico di Italo D’Elisa, sarebbero passati meno di 8 mesi; un tempo che, non solo non evidenzia alcuna lentezza nelle indagini, ma segnala, al contrario, la veloce trattazione del processo», 
 

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