Sironi, ritrova luce la Carta del Lavoro a Palazzo Piacentini

Sironi, ritrova luce la Carta del Lavoro a Palazzo Piacentini
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Venerdì 28 Novembre 2014, 06:24
L'INIZIATIVA
Nel 1931, il sassarese Mario Sironi (1885 - 1961) è ancora famoso soltanto a metà: a Roma, ha avuto una sala alla prima Quadriennale, ma nessun premio. L'accoppiata tra il ministro Giuseppe Bottai e l'architetto Marcello Piacentini (il più discusso di tutti, perché il più «di regime») gli chiedono i cartoni per una vetrata immensa, 75 metri quadrati, il cui tema, il lavoro, è oggi, ironico destino, quanto mai attuale: sarà il primo di oltre 30 interventi decorativi di dimensioni inusitate nel biennio successivo, che gli daranno la fama. E' per lo scalone d'onore, all'ingresso del Ministero delle Corporazioni, a via Veneto, che ha cambiato più volte nome, ed ora è quello dello Sviluppo economico. La nipote dell'artista, Romana, ricorda: passarci davanti e guardare questa vetrata le faceva male, per quanto era illeggibile, non riconoscibile, oscura. Ora, non più; e ancor meno tra qualche tempo, quando si gioverà di una speciale illuminazione innovativa a Led. È stata infatti restaurata e ripulita, per iniziativa di Acea (che ha finanziato il progetto) e la sapienza di Rita Rivelli che, con l'indimenticato Giorgio Funaro e lo Studio Forma, ha firmato importanti recuperi di vetrate, una su tutte quella dell'abside del Duomo di Orvieto. «Abbiamo anche fissato oltre venti grandi tessere pericolanti», dice.
IL LUOGO
Il luogo, noto come Palazzo Piacentini, non è dei più famosi: è sempre stato un ministero; ma è dei pochi nati, negli Anni 30, proprio per questo scopo. E Piacentini convoca molti tra i più grandi artisti dell'epoca: «Qui ci sono almeno 250 opere degne di tutela», spiega la soprintendente Gabriella Porro. Firmate Guttuso, Sciltian, Prampolini, Pirandello, Cambellotti, Gio Ponti, Messina, Minguzzi e Francesco Trombadori. Pure l'arredo (tutto d'autore) è di Piacentini, l'acuto, però, è la vetrata di Sironi dedicata alla Carta del Lavoro (la cui data è quella del 1927), tripartita, giocata sui verdi e sui blu che però, in mancanza di sole come ieri, non si riescono ad apprezzare finché non saranno illuminati da dietro. Ma ora, si provvederà anche a questo. In alto a destra, un uomo torvo, a torso nudo, che trasporta qualcosa. Una fisionomia inconfondibile. Dice Daniela Porro: «C'è Mussolini anche sul pavimento della Sala del Mappamondo, a Palazzo Venezia; raffigurato due volte: una nel riquadro centrale con il Ratto d'Europa». Un filmato con i lavori del restauro sarà proiettato a ciclo continuo alla mostra che è in corso al Vittoriano, dedicata all'artista; e qui, si potranno organizzare visite guidate per vedere la sua prima opera di dimensioni elefantiache. «È ottima l'impressione, mi sembra che avremo una vetrata davvero di grande bellezza»; scrive Piacentini nel 1932 a Sironi, che per Margherita Sarfatti tra gli artisti era «il pittore più romano, più tendente alla grandiosità». Però, i due ministri, la «padrona di casa» Federica Guidi e il collega del Lavoro Giuliano Poletti che ha solo dovuto attraversare la strada, parlano dei problemi del lavoro oggi, davvero pressanti. E la presidente di Acea, Catia Tomasetti, ricorda che tra i compiti della sua azienda è «di permettere quanto più possibile ai cittadini la fruizione delle opere d'arte, e per questo siamo intervenuti». La Carta del Lavoro di Sironi è magniloquente come all'epoca usava; ma se ne vede la composizione rigorosa, con espressioni profonde, e qualche arditezza nei colori. Insomma, se non il genio, poco ci manca.
Fabio Isman
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