La rivalità politica tra i due generali ai vertici del Consiglio sovrano - l’organo civile-militare che, dopo colpi di Stato del 2019 e del 2021, è alla guida del Paese - ha fatto sprofondare nel caos il Sudan. Scontri e violenze vanno avanti da più di una settimana e dalla capitale Khartoum si sono estesi anche ad altre città. A capo dei due schieramenti ci sono il presidente Abdel-Fattah al-Burhan e il vicepresidente filorusso Mohamed Hamdan Dagalo. Sul campo, da un lato i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf, Rapid Support Forces), agli ordini di Dagalo e composte da circa 100mila uomini, e dall’altro lato l’esercito, comandato dal presidente al-Burhan. Da giorni si susseguono sparatorie, raid aerei, mobilitazioni di blindati.
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Ma quando è iniziata la guerra civile? I primi scontri risalgono al 15 aprile, quando la rivalità tra i due generali è esplosa. Dagalo guida le Rfs, costituite principalmente dalla milizia araba dei “Janjaweed”, i “diavoli a cavallo”). Sono vicine ai mercenari filorussi della Wagner, che stanno combattendo in Ucraina.
Anni fa Al-Burhan e Dagalo erano alleati: nel 2019 hanno guidato il golpe contro l’ex presidente e dittatore Omar al-Bashir, destituito dopo trent’anni di governo.
Verso la fine del 2022 sono iniziate ad emergere le prime, vistose, crepe. L’esercito governativo ha infatti acconsentito a riprendere la via della democratizzazione. La richiesta è stata di integrare le Rsf nell’esercito, in modo da formare un unico corpo militare entro una massimo di 2 anni. La proposta di Dagalo era diversa: voleva un processo per l’integrazione decisamente più lento, che sarebbe potuto durare fino a 10 anni. Da quel momento è iniziata la lotta per il potere, che è sfociata nello scontro armato.