Bielorussia, gruppo di dissidenti (in esilio) dietro a sabotaggi e attacchi con droni: «Presto un colpo di Stato contro Lukashenko»

Il gruppo di resistenza partigiana Bypol opera dalla Polonia

Bielorussia, gruppo di dissidenti (in esilio) dietro a sabotaggi e attacchi con droni: «Presto un colpo di Stato contro Lukashenko»
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Giovedì 29 Febbraio 2024, 13:12 - Ultimo aggiornamento: 23:00

Atti di sabotaggio come l’attacco di aerei russi, ferrovie interrotte e l’addestramento di volontari che combattono a fianco delle forze ucraine. Nel febbraio 2023 il gruppo ha anche rivendicato la responsabilità di un attacco di droni che ha gravemente danneggiato un aereo militare russo vicino a Minsk. C’è la guerra che si combatte al fronte e quella, forse ancora più insidiosa, che si svolge nell’ombra. È quella messa in atto dal gruppo di resistenza partigiana Bypol, che opera dalla Polonia: ha addestrato ufficiali e sabotato attivamente il Cremlino nella guerra contro l’Ucraina, il tutto in preparazione di un colpo di Stato contro il regime di Minsk, ha rivelato il capo Aliaksandr Azarau. «Abbiamo elaborato un piano e lo metteremo in atto al momento giusto», ha aggiunto sibillino in un colloquio con i media del Belgio.

La condanna

Azarau, un ex funzionario dei servizi di sicurezza bielorussi, ha dichiarato di essersi dimesso dopo avere assistito «alla frode elettorale nelle elezioni presidenziali del 2020 e alla pesante repressione delle proteste che ne sono seguite». È fuggito in Ucraina e infine in Polonia, da dove dirige Bypol. Il 15 febbraio il Tribunale bielorusso lo ha condannato in contumacia insieme ad altri cinque ex agenti delle forze dell’ordine per «incitamento all’odio sociale, complotto per prendere il potere con la forza e creazione di un gruppo estremista». Ad Azarau è stata inflitta la condanna più dura: venticinque anni di prigione e una multa di circa 123.500 dollari. Ma la sua azione non si ferma.

Il gruppo Bypol ha addestrato membri del reggimento Kalinowski, che si sono uniti ai combattenti ucraini nel tentativo di contrastare l’invasione russa in Ucraina. E all’inizio della guerra, i sabotatori bielorussi hanno danneggiato i binari ferroviari, gettando nel caos la logistica russa nei primi giorni di quella che Putin definisce «operazione speciale». Ora le operazioni per indebolire le forze armate russe potrebbero salire di livello, con un colpo di Stato dritto al cuore del principale alleato di Putin, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko. Dal 1994 governa la Bielorussia dal 1994 e ha recentemente confermato che si candiderà nuovamente alla presidenza nel 2025. Lo scorso 25 febbraio ha votato alle elezioni politiche e amministrative nel Paese e, parlando con i giornalisti, è stato emblematico: «Dite - ha rimarcato riferendosi opposizioni - che mi candiderò. E più difficile sarà la situazione, più attivamente disturberanno la nostra società, più stresseranno voi, me e la società, e prima mi candiderò a queste elezioni».

Il telegramma

Stretto alleato di Putin, il leader di Minsk è al fianco del presidente russo – che considera un «fratello maggiore» – dall’inizio dell’offensiva in Ucraina e ha permesso al capo del Cremlino di posizionare armi nucleari tattiche sul proprio territorio. Gli Stati occidentali hanno condannato il coinvolgimento della Bielorussia nel conflitto e il Parlamento europeo ha definito Lukashenko «un complice» di quanto accaduto. Agli occhi di Vladimir Putin sono medaglie all’onore, tant’è che non perde occasione per elogiare «l’amico Aleksandr». Il 26 febbraio ha inviato un telegramma congratulandosi per quello che ha definito «il successo» delle elezioni parlamentari in Bielorussia: un voto dal quale il regime bielorusso ha escluso qualunque forza di opposizione permettendo la partecipazione solo a quattro partiti filogovernativi. «Più (all’opposizione) ci provano e più io con determinazione mi ripresenterò per essere rieletto. Non preoccupatevi, faremo tutto il necessario per la Bielorussia», ha promesso assicurando che «noi saremo sempre con la Russia». Quindi un monito agli oppositori: «Non saranno in grado di attuare alcuna opzione in Bielorussia. Sappiamo come imparare dagli errori del passato», è stato il sinistro monito. La leader in esilio dell’opposizione e rivale nel 2020 alle urne del dittatore, Svetlana Tikhanovskaya, ha risposto con sarcasmo: «Forza. Incoronati da solo», ha scritto, dopo aver lanciato su X un appello a boicottare la cosiddetta «election day» bielorussa, definita «farsa senza senso, senza possibilità di scegliere». Perché «le cosiddette elezioni del regime bielorusso - ha spiegato - non soddisfano alcuno standard democratico, somigliano più a un’operazione militare contro i suoi stessi cittadini, la costituzione e il buonsenso. Esorto i bielorussi e la comunità internazionale a respingere categoricamente questa farsa».

Voto forzato

L’elezione parlamentare e locale è nominalmente multipartitica, ma i soli quattro partiti ammessi alla competizione (Belaya Rus, Partito Comunista, Liberaldemocratici e Partito del Lavoro e della Giustizia) sono tutti vicini al presidente e hanno sempre votato a favore delle politiche del dittatore, mentre è stata esclusa almeno una dozzina di altri partiti, ai quali è stata negata la registrazione. Il Viasna Human rights centre, la più nota Ong di opposizione bielorussa, citata dal Guardian, afferma che «studenti, soldati, insegnanti e altri dipendenti pubblici sono stati fatti votare a forza di buon mattino». «Le autorità stanno usando tutti i mezzi disponibili - dall’obbligo fisico a votare alla propaganda sui media - per assicurarsi i risultati di cui hanno bisogno», ha denunciato Pavel Sapelka, di Viasna, secondo cui «arresti e perquisizioni stanno avvenendo con il processo elettorale in corso». Per Lukashenko si tratta di una dimostrazione di forza importante, dopo essersi mostrato traballante negli ultimi anni di fronte all’alleato Putin, alle cui truppe ha prestato il suo territorio nelle prime fasi dell’invasione ucraina. E per il quale ha ufficialmente mediato fra Mosca e Ievgheny Prigozhin, disinnescando lo scorso giugno la ribellione della Wagner: crisi alla quale è seguita la morte sospetta dello stesso Prigozhin. Solo pochi giorni fa Lukashenko ha denunciato fantomatici «tentativi» di agenti stranieri per rovesciarlo, mentre i primi di gennaio ha firmato una legge che gli conferisce l’immunità a vita.

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