Non è lui la mente del Qatargate. E in ogni caso ha tutto il diritto di difendersi e collaborare da pentito, come la giustizia belga concede nella sua legge d'ispirazione tutta italiana del 22 luglio 2018. Nei nuovi panni di collaboratore di giustizia, Antonio Panzeri rivendica per bocca del suo avvocato di punta, Laurent Kennes, di non essere colui che muoveva i fili di tutta l'organizzazione criminale a Bruxelles. A farlo - spiega all'ANSA il legale che difende il politico italiano insieme al collega Marc Uyttendaele - erano persone più in alto di lui, o quantomeno più lontane dal centro del potere politico europeo, in Qatar e in Marocco. Chiara e diretta la strategia difensiva: «Ha approfittato dell'organizzazione criminale? Certo. Ha agito attivamente? È vero. Ma non è lui il principale attore».
Il caso
Prima seguito dagli 007 belgi, poi descritto dagli inquirenti come l'anima della trama di corruzione in seno al Parlamento europeo, dopo aver confessato l'ex eurodeputato di Articolo Uno è diventato il secondo pentito nella storia del Belgio. Prima di lui, solo il procuratore sportivo Dejan Veljkovic nel 2021 aveva scelto di percorrere la stessa via. Un accordo che a Panzeri è valso una pena ridotta: cinque anni dietro le sbarre, di cui un solo anno effettivo, invece di quindici. Ma contro il quale si sono subito abbattuti gli strali delle altre parti coinvolte nel maxi-scandalo, a partire dai difensori di Eva Kaili, l'ex vicepresidente del Parlamento europeo finita allo stesso modo in carcere, secondo i quali si tratta solo di una strategia «per comprarsi un futuro». «Non ha comprato proprio niente e la pena che ha negoziato è estremamente normale», è la replica di Kennes, che osserva come, guardando ad altri casi di corruzione in Belgio, «ben pochi» si siano conclusi «con pene più severe».
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