Gaza, la tregua con Israele è davvero vicina? Alt di 40 giorni e ostaggi liberi, i colloqui per il cessate il fuoco a Il Cairo

Blinken: «Proposta molto generosa». Tajani: «I negoziati sono a una svolta»

Gaza, la tregua con Israele è davvero vicina? Alt di 40 giorni e ostaggi liberi, i colloqui per il cessate il fuoco a Il Cairo
di Raffaele Genah
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Martedì 30 Aprile 2024, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 09:47

Se al Cairo si cerca il difficile bandolo di una matassa che potrebbe portare ad un cessate il fuoco e al rilascio di un gruppo di ostaggi nelle mani di Hamas da 206 giorni, a Riad si comincia a disegnare un futuro per la Striscia quando sarà liberata dalla morsa dei terroristi che la governano dal 2006. Scenari e orizzonti diversi e lontani ma strettamente intrecciati. E così per un giorno l’attenzione del mondo torna a puntarsi sulla capitale egiziana da dove si attende una risposta di Hamas alla proposta israeliana di una tregua di quaranta giorni e dello scambio tra ostaggi e prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri dello Stato ebraico. Dopo gli accordi nello scorso novembre che avevano portato allo scambio di 105 ostaggi contro 240 detenuti palestinesi, Israele avrebbe accettato di ridurre il numero di anziani, donne e bambini rapiti dai terroristi di cui chiede oggi il rilascio. Non più quaranta ma “solo” trentatré. Una stima tragicamente realistica che corrisponderebbe al numero dei civili sopravvissuti ai sei mesi di guerra. I mediatori israeliani avrebbero inoltre manifestato la disponibilità a rilasciare un alto numero di detenuti palestinesi.

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La trattativa

«Una proposta straordinariamente generosa» l’ha definita il segretario di Stato Blinken, che ha chiesto ad Hamas di affrettarsi ad accettarla.

Gli ha fatto eco il ministro degli Esteri britannico David Cameron secondo cui tutti gli occhi del mondo dovrebbero essere ora rivolti verso Hamas e ha concluso con un invito perentorio: «Prendetevi questo accordo», aggiungendo - forse irrealisticamente - che la trattativa potrebbe portare alla potenziale liberazione di migliaia di detenuti palestinesi. E il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, pur mantenendo una posizione di cauta attesa, parla di «punto di svolta» dei negoziati ed esorta Hamas ad accettare un compromesso «che permetterebbe di abbassare il tono dello scontro militare».

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I rischi

Anche il ministro degli Esteri di Parigi Stephane Sejourne si compiace di come le trattative procedano ora più speditamente ma precisa che non bisogna cedere agli ottimismi del momento e quindi il monito è a non abbassare la guardia e aggiunge che la «catastrofica situazione di Gaza ha urgente bisogno di un cessate il fuoco». A queste preoccupazioni, negli ultimi giorni se ne sono aggiunte altre, legate ad un possibile mandato di cattura che il procuratore presso la Corte Penale Internazionale potrebbe firmare nei confronti del premier Netanyahu, il ministro della Difesa Gallant e il capo di Stato maggiore Halevi per crimini di guerra. E il timore degli Stati Uniti e di diversi Paesi alleati è che qualora scoppiasse questa bomba potrebbe far saltare gli eventuali accordi per una tregua. Le pressioni più forti dunque arrivano proprio da Riad dove i responsabili delle diplomazie americana, francese, italiana e di altri componenti del G7 incontrano i rappresentanti dei principali Paesi del Golfo convenuti per il World Economic Forum. Si parla di un orizzonte più lontano, il dopoguerra a Gaza, dove un ruolo di primo piano spetterà sicuramente all’Arabia Saudita. Ma cominciare a prospettare scenari futuri da un lato esorcizza gli incubi di un allargamento del conflitto su base regionale che solo qualche settimana fa sembravano prendere corpo. Dall’altro manda segnali rassicuranti ad Israele allentando quel senso di isolamento a cui il durissimo conflitto e le migliaia di morti l’hanno confinata. «La guerra resterà finché non saranno liberati tutti gli ostaggi» dice Cameron con tono realistico che poi affronta apertamente uno dei temi più sensibili. «La partenza dei leader da Gaza potrebbe aprire la strada a una soluzione politica». E con singolare coincidenza di tempi a molti chilometri di distanza, un importante dirigente di Hamas, il vicecapo politico Musa Abu Marzuk parla dell’eventualità che i responsabili del gruppo islamico possano essere costretti a lasciare il Qatar dove hanno trovato fin qui ospitalità e rifugio, e fa sapere che in questo caso «i leader si trasferiranno in Giordania».

I raid

Ma se parlare del futuro di Gaza può sembrare al momento ancora un passo nel buio, il presente resta ad alta tensione: ieri la presidenza egiziana ha fatto sapere che Abdel Fattah al Sisi ha ricevuto una telefonata dal presidente Usa Joe Biden in cui è stato sottolineato il pericolo di un’escalation militare a Rafah. Negli ultimi giorni in attesa dell’annunciata operazione di terra l’esercito israeliano ha mantenuto la pressione su quell’angolo al sud della Striscia dove sono accalcate un milione e mezzo di persone. Anche ieri una serie di attacchi aerei che hanno causato la morte di 27 persone, portando il bilancio delle ultime ventinquatt’ore a un totale di 34, secondo i numeri resi noti dal Ministero della sanità controllato da Hamas. E le famiglie di 400 soldati hanno lanciato un appello per scongiurare l’invasione.

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