Mariupol, Mosca condanna a morte gli Azov: «Sono criminali, non trattiamo». Le mogli: «Così è finita»

Il generale Bertolini: impossibile aiutarli con un blitz in attesa dell’attacco risolutivo

Mariupol, Mosca condanna a morte gli Azov: «Sono criminali, non trattiamo». Le mogli: «Così è finita»
di Marco Ventura
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Domenica 15 Maggio 2022, 22:28 - Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 14:06

È davvero una “mission impossible” quella di liberare il migliaio circa di combattenti ucraini di Azovstal, in gran parte del Reggimento d’Azov che a tutti gli effetti va considerato come unità d’élite dell’esercito di Kiev. Le parole ieri di Vladimir Medinsky, stretto consigliere di Putin e capo della delegazione russa ai negoziati, lasciano ancora meno speranze ai miliziani del Reggimento che alla sua fondazione, quando era un battaglione, aveva simpatie naziste (come peraltro molte formazioni filo-russe sul fronte del Donbass, a cominciare dai mercenari Wagner), ma che era stato sciolto e ricomposto, aveva fatto proseliti ed era stato progressivamente bonificato del suo estremismo e inquadrato nell’esercito regolare.

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LE TRATTATIVE
Quei combattenti, per Medinsky che parla a nome di Putin, sono solo «criminali di guerra», e come tali «non possono essere oggetto di negoziati politici».

Le trattative per l’evacuazione non possono quindi riguardare loro, secondo Mosca, ma gli altri soldati e i civili, tuttora numerosi nelle viscere dell’acciaieria di Mariupol, in condizioni critiche, senza medicine, senza viveri, senza una decente assistenza sanitaria, con interventi eseguiti a mano senza anestesia. E perennemente sotto una pioggia di ogni tipo di proiettili. Un consigliere del Sindaco, Petro Andriushchenko, accusa i russi addirittura di aver usato le «bombe al fosforo», ma a quanto pare si tratterebbe di «bombe alla termite», che hanno comunque un effetto incendiario devastante. «Per la prima volta le forze di occupazione hanno usato questo genere di bombe contro i difensori di Mariupol», scrive Andriushchenko sul suo profilo Telegram. «Gli occupanti stessi affermano di aver usato i proiettili incendiari 9M22C con strati di termite. La temperatura di combustione è di circa 2.000-2.500 gradi. È quasi impossibile fermare la combustione». Sugli ordigni vi sarebbero anche scritte in risposta alla vittoria ucraina all’Eurovision: «Kalusha, come hai chiesto. Su Azovstal». E, poi, in inglese: «Help Mariupol – Help Azovstal right now», con la data del trionfo della Kalush Orchestra il «14.5», l’altro ieri. Certo è che il fumo si alza ancora, visibile dai satelliti, dal compound infernale di quella che era la fabbrica motore economico di Mariupol, un gigantesco impianto oggi sventrato, squarciato e ridotto a una foresta di tralicci spogli e anneriti. Nelle gallerie sotterranee, su più livelli, si sono letteralmente rintanati non solo i miliziani d’Azov ma semplici reclute, volontari della riserva, forze dell’ordine, e civili.

L’unica salvezza può essere diplomatica, e non può che passare per gli unici Paesi che riescono ancora ad avere una linea aperta di dialogo con Mosca e con Putin. La Turchia di Erdogan e la Cina di Xi Jinping. Il portavoce di Erdogan ha offerto una nave per portare in salvo i flussi di persone evacuate, una volta superate anche le forche caudine dei militari russi e le incognite di un corridoio umanitario in piena zona di guerra. Nessun’altra opzione è possibile. Tanto meno militare. «Zelensky stesso ha riconosciuto che non esiste alcuna possibilità di liberare con mezzi militari chi è rimasto nell’acciaieria», spiega il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore.

LE ALTERNATIVE
«Le uniche alternative sono quelle di resistere fino in fondo o arrendersi. Se si arrendono e vengono riconosciuti come legittimi combattenti, sono automaticamente tutelati dalle leggi che regolano i conflitti armati e quindi, da quel punto di vista, godono di protezione». Ma lo status di combattente legittimo sembra essere oggi negato dai russi ai membri del Reggimento d’Azov. «Se invece non si arrendono c’è poco da fare, andranno avanti in queste condizioni finché potranno. Quello che non si capisce è perché non si arrendono. Resistono o per un loro puntiglio, fino alla fine, ma al tempo stesso chiedono di essere evacuati e si appellano alla mediazione di altri Paesi, oppure per obbedire a un ordine di Zelensky, come alcuni di loro dicono». Altro interrogativo: come fanno a resistere così a lungo? «Non mi pare che nonostante tutti gli attacchi sia stato portato finora l’assalto davvero risolutivo, e anche questa è una scelta – dice Bertolini – perché i civili ormai dovrebbero essere quasi tutti fuori dall’acciaieria, non dovrebbero esserci più remore ad attaccare in maniera distruttiva e conclusiva». E ancora: «Com’è possibile che da sotto l’impianto gli ucraini siano tuttora in grado di comunicare con il mondo esterno e anche di mandare video di quello che avviene là sotto? Non credo che i russi non siano capaci di impedire le comunicazioni, questa è una loro precisa e riconosciuta capacità di guerra…».

In Siria, solo la mediazione turca in alcuni casi è riuscita a convincere i miliziani dell’Isis a capitolare, «si arrendevano ai siriani o ai russi, ma a condizione di essere portati a Idlib, che era sotto controllo turco. In ogni caso, anche per mandare una nave in Ucraina e farla entrare in porto a recuperare i superstiti, ci vuole il placet dei russi». Blitz sono improponibili anche per Pierluigi Barberini, analista militare del Cesi. «Avrei qualche dubbio a immaginare un’operazione del genere fatta dalla Nato, sarebbe veramente difficile, ma gli ucraini non ne hanno proprio le capacità tecniche. Non hanno il numero di elicotteri necessari, dovrebbero distruggere tutte le contromisure russe, impossessarsi di tutta l’area, un’area contesa, per una giornata intera e non per liberare dieci ostaggi, ma centinaia di persone in un perimetro di 11 chilometri quadrati… Quanto a resistere – conclude Barberini – possono resistere, si sono trovati giapponesi nella giungla dopo vent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale! I russi non cercano di entrare nell’impianto perché subirebbero troppe perdite: a loro basta farli morire di fame, sete e stenti». Anche gli uomini rimasti dentro l’acciaieria «hanno perso le speranze», dice Kateryna, moglie di un soldato del Reggimento d’Azov. «Difficilmente salgono in superficie, ma devono muoversi per trovare cibo o acqua. Il più delle volte restano seduti nei bunker. Si stanno preparando per l’ultima battaglia». Altri parenti sono andati a Istanbul per ringraziare Erdogan dei suoi sforzi per la mediazione ed evacuazione dell’acciaieria. Per l’ultimo barlume di speranza.
 

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