L'Onu premia quattro donne impegnate nella difesa dei rifugiati, mai così tante tutte insieme

Rana Dajani
di Simona Verrazzo
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Mercoledì 30 Settembre 2020, 14:47 - Ultimo aggiornamento: 15:13

Quattro donne impegnate in difesa dei rifugiati, quattro donne a cui le Nazioni Unite hanno reso omaggio conferendo loro il Nansen Refugee Award, il premio che dal 1954 viene assegnato dall’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu (UNHCR). L’edizione di quest’anno è destinata a passare alla storia perché i quattro riconoscimenti regionali sono tutti andati ad attiviste, prima volta nella lunga storia di questo importante tributo.
Africa, Asia, Europa e MENA (North Africa and Middle East) sono le quattro aree geografiche selezionate quest’anno e che hanno visto premiate altrettante donne, in attesa di domani, 1° ottobre, dell’annuncio del vincitore al livello globale. Tutte quante, si legge nel comunicato dell’UNHCR, si sono distinte per iniziative in favore delle loro comunità, al livello locale, ma il loro impegno è da esempio a livello globale. E loro stesse hanno vissuto, nei paesi d’origine, il dramma dei rifugiati. Per l’Africa il riconoscimento è andato a Sabuni Françoise Chikunda (49 anni), insegnante congolese scappata in Uganda, fondatrice del Kabazana Women’s Centre; mentre per l’Asia è stata scelta Rozma Ghafouri (29 anni), afgana rifugiata in Iran, allenatrice di calcio, co-fondatrice di Youth Initiative Fund: le donne e i giovani sono i destinatari dei loro progetti, che puntano a fornire istruzione e avviamento al lavoro, oltre all’assistenza medica e alla tutela legale.

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Tetiana Barantsova (46 anni) è l’attivista premiata per la regione Europa: la sua iniziativa, l’associazione “AMI-Skhid”, si sviluppa nel Donbass, la regione ucraina teatro del conflitto con la Russia nel 2014, e si rivolge alle persone disabili, proprio come lei, costretta su una sedia a rotelle dopo un incidente da bambina.
Il riconoscimento è andato anche a Rana Dajani, in rappresentanza del nord Africa e del Medio Oriente: giordana di origini siriano-palestinesi, professoressa di biologia molecolare, è popolarissima nel mondo arabo anche per la sua iniziativa “We Love Reading”, per l’accesso ai libri nei campi profughi. Classe 1969, nata a Dhahran (Arabia Saudita) ma cittadina della Giordania, delle quattro Rana Dajani è sicuramente il volto più noto al livello internazionale, essendo una delle scienziate più importanti della sua regione, con ricerche svolte anche ad Harvard (USA): è una luminare nello studio della genetica delle minoranze circassa e cecena che vivono nel Regno Hashemita, mentre negli ultimi mesi è stata impegnata, con un team di colleghi, nella realizzazione di un test rapido ed economico per l’individuazione del Covid-19.
Il Nansen Refugee Award porta il nome dell’esploratore e diplomatico norvegese Fridtjof Nansen, a cui nel 1922 venne assegnato il Premio Nobel per la Pace proprio nella carica di Alto Commissario per i Rifugiati dell’Onu. Fu l’ideatore del cosiddetto Passaporto Nansen, che dopo la Prima Guerra Mondiale garantì tutela a migliaia di profughi, rifugiati e apolidi.
In attesa di conoscere il nome al livello mondo del Nansen Refugee Award, queste quattro donne vengono premiate per il loro impegno in favore dei rifugiati del nuovo millennio e chissà che una o più di loro non sia insignita del Nobel per la Pace 2020, il cui annuncio è atteso per il 9 ottobre.

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