"Si è trattato di un omicidio volontario e non di un omicidio preterintenzionale. La condotta tenuta da Zappalà sia quando ha colpito più volte Nadia Bergamini sia dopo avere terminato questa sua compulsiva azione indicano che ha agito nella consapevolezza che dalla sua azione sarebbe derivata quale probabile se non certa conseguenza la morte della donna”. Sono contenute in 24 pagine le motivazioni della sentenza con la quale la Corte di assise di Latina presieduta da Gian Luca Soana il 13 giugno scorso ha condannato il 46enne Antonino Salvatore Zappalà a 21 anni e sette mesi di carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per l’omicidio della suocera.
Nadia Bergamini, 70enne e invalida su sedia a rotelle, venne colpita violentemente più volte per una banale discussione domestica e lasciata morire all’interno dell’appartamento nella zona Morbella dove entrambi abitavano insieme alla compagna di lui e figlia della vittima.
“Comportamenti che dimostrano – si legge nelle motivazioni – la sua volontà di condurre la Bergamini alla morte non attivando quell’immediato soccorso che avrebbe potuto almeno fino a quel momento far sperare di salvarle la vita”. Sempre secondo giudici togati e giurati popolari "l'imputato ha approfittato delle condizioni di debolezza fisica e psichica della donna".