Infermiere dell'Esercito da Sabaudia alla Bassa Lodigiana: «In Kosovo vedevi il nemico, qui lotti contro qualcosa di invisibile»

Vincenzo Pesce al lavoro nella Lodigiana
di Andrea Gionti
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Lunedì 27 Aprile 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 10:13
Un mese in prima linea nella Bassa Lodigiana a combattere da vicino il coronavirus. «Un'esperienza che ricorderò per sempre nella mia vita e che ci insegnerà tanto anche in futuro. Quando sono partito in missione in Kosovo, nel post guerra, dove svolgevamo servizio di peacekeeping (mantenimento della pace, ndr), ero consapevole che davanti avevo un vero nemico, mentre qui ti trovi a lottare contro un qualcosa di invisibile che ti colpisce e ti fa male». È la storia del fondano Vincenzo Pesce, 52 anni, primo maresciallo infermiere, sottoufficiale dell’esercito al 17esimo Reggimento di artiglieria controaerei “Sforzesca” di stanza a Sabaudia, composto da un comando di reggimento, una batteria di supporto logistico, un gruppo controaerei a corta e cortissima portata ed una compagnia trasmissioni, pedine operative dell’unità. È rientrato a Monte San Biagio, dove ha scontato i fatidici 14 giorni di quarantena: in un alloggio in caserma si è sottoposto al tampone che ha dato esito negativo.

Ora è a casa circondato dall’affetto della sua famiglia, la moglie Annunziata, casalinga, e i figli Lucrezia, 23 anni e Riccardo, di 17 anni, esterno alto della prima squadra del Fondi Calcio (Seconda Categoria), il club rossoblu in cui il papà ricopre da un triennio il ruolo di massaggiatore.

«La nostra base operativa era a Lodi, dove hanno creato delle strutture per gli ambulatori – racconta Vincenzo, che vanta ben 21 anni di carriera al Celio, nel Policlinico militare dell’Esercito Italiano di Roma e undici a Sabaudia, dove riprenderà a lavorare tra una ventina di giorni – ma insieme agli altri colleghi delle forze armate il nostro servizio era dislocato nelle zone rosse di Codogno (tristemente noto per essere stato il paese focolaio, ndr), Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo e Somaglia. La mattina eravamo in ambulatorio e il pomeriggio nelle Rsa, le case di riposo di assistenza per gli anziani, che purtroppo sono stati i più colpiti in Italia. I pazienti che visitavamo presentavano i classici segnali da Covid-19, altri invece vivevano la sintomatologia anche se non avevano contratto il virus, ma accusavano sintomi dettati dall’eccessivo stress». Ora Vincenzo Pesce è tornato a respirare l’aria di casa, ma quel mese nel Lodigiano non lo dimenticherà facilmente, lottare contro un nemico invisibile, difficile da prevedere, che mina il fisico dei pazienti fino ad ucciderli, ha lasciato in lui un segno doloroso e indelebile.
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