Roma, al ghetto ebraico il giorno dopo: «Notte in bianco». Turista rimane in albergo: «Ho paura»

Dispositivi di sicurezza già portati al massimo dopo il 7 ottobre

Roma, nello storico ghetto ebraico il giorno dopo l'attacco dell'Iran a Israele: «Notte in bianco». Turista rimane in albergo: «Ho paura»
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Domenica 14 Aprile 2024, 17:45 - Ultimo aggiornamento: 20:45

Come si vivono queste ore nel Ghetto ebraico di Roma? Che aria si respira il giorno dopo l'attacco iraniano contro Israele di questa notte? «Qui non abbiamo paura». Lo ripetono in tanti. Quasi a esorcizzare una paura che, invece, c'è. Soprattutto per amici e parenti che si trovano in Israele, molti dei quali tra le file dei riservisti dell'esercito. È mezzogiorno quando i primi turisti e i romani iniziano a riempire i tavoli dei ristoranti all'ombra del portico d'Ottavia, decine e decine di persone che si godono il sole in una Roma già estiva. La guerra sembra lontana e il quartiere è presidiato senza troppo darlo a vedere. «Tutto è come sempre» ripetono i residenti sottolineando che il livello di sicurezza non è cambiato secondo chi abita e frequenta il ghetto: «è sempre stato al massimo», dicono. Ed è vero poiché i dispositivi, già alti ogni giorno dell'anno, sono stati portati al massimo dopo il 7 ottobre. Se c'è apprensione tra le vie del quartiere, dunque, è per gli amici e i parenti che vivono in Israele e che hanno passato le ultime ore nei rifugi.

«La risposta dell'Iran era preannunciata, ma non sapevamo come, quando e dove avrebbero attaccato», evidenzia il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia (Ugei), Luca Spizzichino. Durante il lancio di droni e missili della scorsa notte per molti non c'era il timore di un nuovo 7 ottobre, «ma si sta aprendo un nuovo capitolo che non sai come si evolverà. Non si tratta di Hezbollah, di Hamas o degli Houthi. Ma di uno Stato con un esercito vero e proprio», aggiunge Spizzichino. Chi ha parenti e amici in Israele ha passato la notte in bianco.

Roma, ghetto ebraico: dispositivi di sicurezza già al massimo

«Ero in stretto contatto con mia sorella mentre si trovava nel bunker», spiega una commerciante. Un uomo di 61 anni con la kippah sul capo racconta di quelle «trenta esplosioni» nei cieli vicino a Gerusalemme documentate da un suo amico, ma ribadisce: «qui non è cambiato nulla». «Abbiamo seguito minuto per minuto l'attacco per capire quanto reggeva la difesa israeliana, ognuno di noi ha lì parenti, familiari, amici, è stata una notta faticosa e difficile», conferma la presidente dell'Ucei Noemi Di Segni che poi ribadisce: «il tema Iran non è solo una minaccia per Israele, è in gioco l'occidente».

Il quartiere ebraico, secondo Benedetto Sacerdoti, rappresentante per l'Italia del Forum delle famiglie degli ostaggi, è un po' «un'isola felice». Il luogo «più presidiato dopo San Pietro, probabilmente, grazie al lavoro delle forze dell'ordine». Ed è per questo motivo che il flashmob organizzato dall'associazione per chiedere il rilascio di chi è nelle mani di Hamas si è tenuto al ghetto. Inizialmente era prevista una marcia a villa Borghese ma «alle 7 ci hanno avvisato che per questioni di sicurezza non potevamo più farla», spiega Sacerdoti preoccupato del fatto ci siano ancora ostaggi a Gaza. Noah, israeliana in vacanza a Roma, è di un altro parere. Racconta di non sentirsi al sicuro tra le vie della città anche a causa «delle manifestazioni per la Palestina». «So che sembra strano ma in questo momento avrei meno timore a Tel Aviv», dice ancora Noah. Dopo l'attacco iraniano ammette di aver avuto ancora più paura, «non sono uscita dall'albergo sia perché volevo rimanere in contatto con la mia famiglia sia perché avevo paura di essere un bersaglio»

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