Israele, la storica Tamar Herzig: «Perchè le femministe italiane continuano ad ignorare le donne stuprate il 7 ottobre?»

la professoressa Tamar Herzig
di Franca Giansoldati
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Sabato 16 Marzo 2024, 12:42 - Ultimo aggiornamento: 19:00

«Il governo di Netanyahu se ne dovrebbe andare, quest'epoca deve finire. E' per questo che ci sono proteste. Penso che siamo al punto più terribile della storia del nostro paese». Tamar Herzig è una delle storiche israeliane più autorevoli e conosciute, insegna all'università di Tel Aviv storia moderna, ha scritto libri tradotti nel mondo sul rinascimento europeo e mai nella vita si sarebbe immaginata di dover parlare del presente. «Mi sono sempre dedicata al passato, occupandomi anche delle violenze sessuali avvenute nei secoli passati. Di certo non avrei mai pensato di fare riflessioni sull'attualità più stringente».

Una situazione terribile...

«Per i giovani la situazione è pesantissima. Vedo una generazione che non riesce a più pensare al futuro. Sono in uno stato psicologico difficile. Le università si sono svuotate, tanti giovani sono stati uccisi il 7 ottobre, altri sono al fronte. L'anno accademico a ottobrenon è potuto iniziare e il semestre lo abbiamo avviato solo a dicembre. Basta osservare gli studenti a lezione: manca la gioia di vivere che ci dovrebbe essere in un qualsiasi campus. La loro vita è stata stravolta».

E' da poco trascorso l'8 marzo: lei da femminista come ha vissuto il silenzio di gran parte del mondo femminile davanti agli stupri sistematici di Hamas al festival Nova e nei kibbutz?

«L'inviata dell'Onu Pramila Patten agli inizi di marzo ha confermato in un lungo report di 23 pagine le violenze sessuali avvenute .

Violenze che tuttora avvengono per le 19 donne tenute in ostaggio a Gaza. Nel report c'è scritto in modo esplicito e forse potrebbero essere anche in stato interessante. Le femministe italiane che hanno fatto dell'otto marzo una manifestazione pro palestinese invece che essere solidali con le israeliane ritengo sia qualcosa di doloroso che dovrebbe fare riflettere. Un silenzio terrificante. Se le femministe non vogliono vedere quello che è accaduto e sta accadendo alle israeliane è l'inizio di un modo di pensare che rovina quello che la storia del femminismo ha fatto negli ultimi decenni. Stiamo parlando di stupri, non di molestie. I terroristi hanno anche causato mutilazioni ai cadaveri. Cose orrende. La stessa Pramila Patten ha dichiarato di non avere mai visto una niente del genere». 

Pensa che questo atteggiamento da parte delle femministe sia dovuto ad un antisemitismo latente?

«Le donne sono state bersaglio particolare del massacro. Ce lo dicono i filmati degli stessi terroristi. Si ascoltano voci che gridano: questa ragazza non ucciderla, prendiamola noi. I rapimenti facevano parte del piano. Per noi è stato uno choc scoprire l'antisemitismo dilagante. Per quanto mi riguarda lo consideravo retaggio di un passato europeo e invece non è così. Se una donna ebrea prova a dire qualcosa sul 7 ottobre viene cacciata via dalla manifestazione dell'8 marzo a Firenze». 

Cosa spera a breve termine?

«La parola pace è bellissima ma è difficile fare la pace: con chi dovremmo farla? Credo che la comunità internazionale debba intervenire per assicurare un partner affidabile. Io credo nella soluzione di due stati. Mi auguro, anche, un altro governo, più liberale, comprensivo di valori che siano migliori pure per le donne. Nessuno ha una soluzione magica ovviamente è anche importante che i 200 mila profughi israeliani possano tornare nelle loro case rese insicure dai razzi, sia al Nord che al Sud. La guerra all'inizio era necessaria, ogni stato ha il diritto di difendersi. Quello che accade a Gaza con i bambini e le donne è però terribile. Sì io sogno la fine della guerra».

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«Lo ripetono da settimane e continueranno a farlo. Non sono una politologa né una profetessa tuttavia penso che sia un modo per esercitare pressioni sul governo affinché si cerchi una soluzione non militare. Cosa peraltro non semplice visto che da parte palestinese non c'è un partner, un interlocutore con cui dialogare. Una soluzione militare non è un assoluto. Si deve cominciare a disegnare il “giorno dopo” e io spero che questo momento possa arrivare presto». 

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Si ipotizza una tregua, forse qualcosa si sta muovendo?

«Difficile dire. Oggi, per esempio, ho insegnato ai miei studenti. Era l'ultima lezione del semestre. Conosco ragazzi che sono stati chiamati come riservisti per maggio, giugno e luglio. Non pare quindi che tutto questo stia per finire». 

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