Alessandra Matteuzzi, la lista dell'orrore del killer: martello, manette e video

Nel telefono di Padovani gli appunti sulla preparazione del delitto della ex. L’uomo era riuscito ad accedere alle telecamere di casa e spiava la donna

Alessandra Matteuzzi, la lista dell'orrore del killer: martello, manette e video
di Claudia Guasco
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Mercoledì 11 Gennaio 2023, 22:21 - Ultimo aggiornamento: 22:50

Uccidere Alessandra, nascondere il corpo, organizzare la fuga. E mettere in conto il carcere: «Cosa fa un detenuto tutto il giorno?», è una delle ricerche trovate nella cronologia web del telefono di Giovanni Padovani da inizio giugno 2022. Una frase dopo l’altra, in un crescendo ossessivo, finché il piano prende forma. «Nastro isolante, martello, corda (meglio manette), fai chat inventata tra te e lei dove ti dice di venire a casa sua e portare manette. Domenica 21 agosto inizio chat». Lo scrive nelle note del cellulare la sera del 20 agosto 2022, tre giorni dopo Padovani aspetta sotto casa a Bologna l’ex fidanzata Alessandra Matteuzzi, 56 anni, e la massacra a colpi di martello, calci e usando anche una panchina.

Premeditazione

Il consulente tecnico nominato dal procuratore aggiunto Lucia Russo e dal pm Domenico Ambrosino ha depositato i risultati della consulenza sullo smartphone del calciatore ventisettenne, ultimo contratto con la Sancataldese, ambizioni e foto social da modello. È accusato di omicidio volontario, ma alla luce di ciò che è emerso dal suo telefono «riteniamo che la contestazione dell’aggravante della premeditazione sarà inevitabile», affermano gli avvocati Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini, legali della famiglia di Alessandra.

L’app delle note di Padovani sono una sorta di diario. Il 2 luglio il giocatore si sfoga e al contempo prepara il terreno per quella che nella sua mente rappresenta una giustificazione: «La uccido perché lei mi ha ucciso moralmente. Mi ha manipolato è usato, facendomi passare per pazzo, ma la pazza è lei. Direte: lui l’ha uccisa, non sta meglio, anzi è lui il pazzo, ma non è così. Lei mi ha tradito, lo scrivo perché andrò in galera e così la polizia capirà il male che lei mi ha fatto». Prima però ci sono mesi di stalking, soprusi, vessazioni. Il 23 aprile Padovani invia uno screenshot alla madre: «Sono le telecamere di casa sua e ha il suo cellulare in mano. Sono riuscito a entrare», facendo capire di poter disporre delle immagini del sistema di videosorveglianza di Alessandra. Che, nella sua disperazione, chiede aiuto anche alla donna. Il 23 luglio la vittima le scrive: «Tuo figlio va aiutato perché ha dei grossi problemi». Risposta: «Lui è rimasto convinto che tu lo tradivi continuamente, dicendomi che hai rovinato tutto». Ma Alessandra insiste: «Questa è la sua follia, è la sua patologia che lo porta a essere violento. Io non voglio morire!». La madre lo difende: «Guarda, Giovanni non è mai stato come dici con nessuno. Su queste cose ti sbagli». E invece il 29 maggio il giovane cerca sul web «come sabotare un motore», fatto denunciato da Alessandra.

 

Fuga in Albania

Dall’11 giugno fino a poche ore dal delitto architetta il metodo più efficace per uccidere la sua ex, vagheggia la fuga, si prepara a un possibile arresto. Digita a ripetizione: «Quanto ci vuole per morire per strangolamento», «con un colpo alla testa forte con una spranga riesce poi a urlare?», «dove perde meno sangue una persona con un coltello». Quindi pensa al «posto migliore per nascondersi con una persona morta» e «dove è più difficile rintracciare un cadavere». Il 23 agosto Padovani abbandona il ritiro con la squadra, prende un aereo e va a Bologna per mettere in atto il suo piano. Alle sei di sera ha un dubbio: e se Alessandra reagisce? «Spray al peperoncino in faccia cosa comporta», è la sua ultima ricerca. Prima di massacrare la ex esplora altre possibilità, si informa su «tariffe per uccidere», «il rapimento perfetto», «pagare una persona per picchiare». A due giorni dall’agguato prova a immaginare una via di fuga: «Per andare in Albania serve il passaporto», «Stati dove non valgono le leggi italiane» o «dove non conta la pena di morte». Intanto Alessandra, disperata, dopo una denuncia e un codice rosso si confida anche con un poliziotto conosciuto in chat: «Ti dico solo che si è arrampicato al secondo piano del palazzo dove abito». Padovani sapeva già cosa avrebbe fatto e le conseguenze: «Stalking e violenza sulle donne quanti anni di reclusione», digita, «si può usare il cellulare in prigione», «quante volte si può andare a trovare un detenuto». Il calciatore ora è nel carcere di Bologna, è rilassato e impassibile, il giorno dopo l’omicidio si è seduto a pranzo con gli altri detenuti e ha mangiato di gusto. E a Natale pare sia intervenuto per soccorrere un compagno di cella che voleva suicidarsi.

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