Legge elettorale/Evitare il bis della paralisi dopo le urne

di Cesare Mirabelli
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Mercoledì 9 Maggio 2018, 00:05
Le cronache politiche di questi giorni mostrano con evidenza come il Governo, e la sua formazione, siano necessari per il funzionamento delle istituzioni. Anche il Parlamento, dal quale il Governo deve ricevere la fiducia per integrare la sua investitura, non è in grado di funzionare efficacemente senza avere un Governo come interlocutore. Dunque è nella responsabilità delle forze politiche, si direbbe un dovere costituzionale, assicurare la formazione di un Governo e consentirne la funzionalità.

Non esistono solo i due poli, della rivendicazione di una propria riserva di titolarità o, all’opposto, del rifiuto di qualsiasi altra investitura. Sono le condizioni di contesto, non solamente quelle politiche, ma anche quelle sociali, economiche e internazionali, a determinare la misura e le modalità di quella essenziale solidarietà che pure la costituzione richiede alle forze politiche nell’interesse generale. 

Se è impossibile costituire un Governo che esprima un indirizzo politico idoneo a coagulare una omogenea e stabile maggioranza parlamentare, né vi sono prospettive che questo esito positivo si possa verificare nel breve periodo, diviene inevitabile il ricorso al corpo elettorale, perché esprima una nuova rappresentanza, che si auspica idonea a costituire una maggioranza parlamentare e ad assicurare la governabilità. Ma perché il ricorso immediato ad un nuovo voto popolare non divenga una infruttuosa replica destinata ad offrire il medesimo risultato, con il rischio di trasformare la crisi politica in crisi istituzionale, è necessario intervenire prima sul sistema elettorale. 
Il contrasto e la scarsa attitudine al compromesso tra le forse politiche non consente di prefigurare una nuova e complessiva architettura del sistema elettorale. Tuttavia è lecito attendersi l’introduzione, nell’impianto della legge esistente, di qualche correttivo che stabilisca un nuovo punto di equilibrio tra rappresentanza e governabilità. Sia l’una che l’altra rispondono ad una esigenza costituzionale. I meccanismi elettorali non possono essere tali da alterare irragionevolmente l’eguaglianza del voto e da trasformare artificiosamente una minoranza in maggioranza, modificando gravemente l’equilibrio tra voti dati e rappresentanti eletti. Tuttavia correttivi, inevitabilmente presenti in ogni sistema elettorale, possono essere congegnati per assicurare la governabilità, agevolando la espressione di una stabile maggioranza nelle assemblee rappresentative.

La legge elettorale approvata lo scorso anno prefigurava come possibile questo effetto mediante la introduzione dei collegi uninominali, 231 per la Camera e 109 per il Senato, nei quali è risultato eletto il candidato che ha ricevuto più voti. Forse è stato riposto un eccesso di fiducia su questo innesto maggioritario in un contesto proporzionale. L’elemento maggioritario così introdotto avrebbe costituito la base per la governabilità solo se la medesima maggioranza si fosse manifestata in modo uniforme nella gran parte dei collegi. Di fatto questo sistema non è stato sufficiente per assicurare a nessuna forza politica e a nessuna coalizione di liste collegate la maggioranza nei due rami del Parlamento. Bisogna prenderne atto. In tempi brevi è inutilmente ambizioso pensare ad una complessiva riscrittura della legge elettorale. Ma è doveroso introdurre altri correttivi, quale un ragionevole premio di maggioranza o di governabilità, nei limiti prefigurati come ammissibili dalla Corte costituzionale. 
La materia elettorale è giustamente rimessa all’iniziativa parlamentare. Tuttavia il Governo, tanto più se meno coinvolto negli interessi immediati delle diverse forze politiche, può essere un interlocutore che stimola la ricerca di una soluzione e può operare da catalizzatore del consenso parlamentare.
La questione delle necessarie modifiche della legge elettorale non può oscurare altri e noti compiti essenziali che il Governo è opportuno sia chiamato a svolgere con autorevolezza, per dar voce efficace all’interesse nazionale in un contesto europeo nel quale si assumeranno decisioni destinate ad avere effetti di rilievo per le istituzioni e per l’economia. Come pure per assumere decisioni essenziali, quali quelle necessarie per scongiurare l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, che deprimerebbe i consumi e ostacolerebbe la pur debole ripresa dell’economia. Su altre questioni, pur urgenti, potrebbe agire nella funzione propria dell’esecutivo, in stretto collegamento con gli indirizzi che il Parlamento ritenesse di manifestare. 
È nei poteri e nella responsabilità del Parlamento che, integro il dibattito e la competizione tra le forze politiche, prevalga nell’immediato l’interesse nazionale.
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