Caso Yara, i parenti di Bossetti tutti a cena insieme: «Lo vogliono incastrare»

Laura Letizia Bossetti, sorella gemella di Massimo Giuseppe Bossetti
di Renato Pezzini
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Venerdì 20 Giugno 2014, 02:32 - Ultimo aggiornamento: 08:27
Verso sera i carabinieri tornano nella casa di Massimo Bossetti per una nuova perquisizione, ma in casa non c’ pi nessuno.





La moglie Marita e i tre figli sono dal fratello di lei, la suocera da un’amica. Anche a Terno d’Isola le tapparelle sono abbassate: la madre di Bossetti e il «padre putativo» - Giovanni - sono in Val Brembana, la sorella Laura è tornata a casa sua. Sembra una famiglia in rotta, frantumata dalle verità emerse sul proprio albero genealogico, umiliata dal sospetto che tiene Massimo in carcere. Ma questo è solo il volto esteriore.



E’ inaccettabile l’ipotesi che tuo fratello, o tuo figlio, o tuo marito possa essere il carnefice di una ragazzina indifesa. Ma è ugualmente inaccettabile l’ipotesi che possa essere accusato ingiustamente. Per questo, dopo tre giorni di comprensibile sbandamento, i parenti del muratore sono tornati a fare quadrato. Si sono guardati in faccia dicendosi ciò che adesso la sorella Laura dice con fare stentoreo: «Lo vogliono incastrare».



Un buon marito. Laura Bossetti lo aveva già sostenuto davanti ai magistrati martedì. Lo ripete ora, ferma sull’uscio di casa, alle telecamere di Canale 5. «In famiglia stiamo male, è una tragedia, ci sentiamo vicini alla famiglia di Yara. Ma io so quello che dico, mio fratello è sangue del mio sangue, lo conosco più di tutti: è innocente». Lo dice, sempre davanti ai pm, pure la madre Ester che annuncia «nuove verità imminenti». Lo ribadisce la moglie Marita: «Massimo è sempre stato un buon marito e un bravo padre».



Due sere fa si sono messi tutti intorno a un tavolo a Brembate Sopra, nella casa di Fabio, il fratello più giovane. Non potevano sapere che l’indomani Bonetti davanti al giudice si sarebbe proclamato «totalmente estraneo alla vicenda». Loro però già erano sicuri: «Non può essere stato lui». O come dice il cognato: «Sappiamo che non è capace di fare male a una mosca». Così hanno deciso di dargli tutto il sostegno possibile mettendo da parte lo sconforto del momento e l’imbarazzo di aver scoperto che il suo padre biologico era l’autista di Gorno, Guerinoni.



Hanno già convocato un avvocato di Brescia - Benedetto Bonomi - chiedendogli di studiare il caso e l’eventuale disponibilità ad affiancare Silvia Gazzetti nella difesa del muratore. E hanno cominciato a parlare con tutte quelle persone (vicini, colleghi, amici, conoscenti) in grado costruire coi loro racconti il ritratto di un «uomo irreprensibile», magari severo e taciturno, però incapace di violenza, contento perfino di aver sempre lavorato da solo per non dovere, in tempi di crisi, a licenziare qualcuno.



I telefoni fuori uso. E poi hanno deciso di mettere insieme tutti gli elementi che, in un eventuale processo, potranno tornare utili alla difesa. A cominciare dalle lettere inviate dagli abitanti di Piana di Mapello alle compagnie telefoniche per lamentare il fatto che nella loro frazione i telefoni cellulari non hanno mai funzionato.



Non è un dettaglio da poco: fra le accuse mosse a Bonetti c’è il fatto di non aver fatto alcuna telefonata la sera in cui Yara fu rapita. Ma se era a casa, come lui sostiene, di telefonate non ne poteva fare perché non era tecnicamente possibile.
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