Nymph()maniac, il film esplora i segreti dell'anima femminile con una dose eccessiva di furbizia

Nymph()maniac, il film esplora i segreti dell'anima femminile con una dose eccessiva di furbizia
di Fabio Ferzetti
4 Minuti di Lettura
Domenica 30 Marzo 2014, 17:00 - Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 15:26
Certi film fanno tanto di quel rumore che per riuscire a vederli bisogna prima fare un po’ di silenzio, o almeno provarci. Intendiamoci, il rumore sollevato da Nymph()maniac di Lars Von Trier, non ha nulla di casuale. E se vi sembra di averne sentito parlare già mille volte, anche se il primo episodio esce in Italia solo giovedì prossimo, è perché l’autore ha battuto per mesi su una grancassa promozionale, a suo modo geniale, che meriterebbe un discorso a parte.

Non un solo film dunque, ma un film diviso in due e poi moltiplicato per due, perché i due episodi esistono in versione hard e soft. A Berlino abbiamo visto quella hard, in sala arriverà quella purgata, ma la differenza è puramente tecnica. Nymph()maniac infatti non è un film erotico, ma una ricognizione gelida, tutta teorica e venata da sprazzi addirittura umoristici, della sessualità femminile, che chiude idealmente la trilogia iniziata conAntichrist e proseguita con Melancholia.



EMOZIONI CAOTICHE

Per farsene un’idea complessiva bisognerà aspettare la seconda parte, in cui è concentrata la vera discesa agli inferi della protagonista, che da adulta è Charlotte Gainsbourg mentre da ragazza ha il volto e il fisico da cerbiatta dell’inedita Stacy Martin. Tono e struttura comunque sono già chiari.

C’è una giovane di nome Joe, misteriosamente, che in apertura viene ritrovata esanime in un vicolo; e c’è il suo soccorritore, il maturo Seligman (Stellan Skarsgaard), che dopo averla portata a casa ascolta la storia della sua vita e dei suoi eccessi, visualizzati in episodi intervallati dai commenti sempre molto colti con cui Seligman, come uno psicoterapeuta, razionalizza, collega, rilancia, insomma interpreta il caos di esperienze e emozioni che la sua interlocutrice gli rovescia addosso. Partendo dagli inizi («A due anni scoprii di essere ninfomane»...). Per poi sgranare tutta la sua vita e la sua incredibile collezione di partner e prodezze sessuali. Sempre cercando di rintracciare il filo che lega quegli atti gratuiti, e a volte inspiegabili, agli episodi chiave della propria esistenza. I primi lavori, la rinuncia a metter su famiglia, l’addio al padre amatissimo, eccetera.



IRONIA

La prima parte gioca ironicamente sui rimandi fra le sfrenatezze di Joe e le tecniche di pesca di Seligman (con dotte citazioni da un trattato seicentesco, Il perfetto pescatore, e immagini di pesci e fiumi paragonati ai treni su cui Joe e un’amica adolescenti giocano a chi si accoppia con più maschi: con punti extra per pesci grossi come gli uomini sposati...). Ma ironia o meno, c’è poco da stare allegri. E lo capiamo una volta per tutte quando l’eroina, cresciuta, assiste all’agonia del padre (Christian Slater), che da bambina le parlava di alberi, boschi e miti nordici. Sarà l’ombra del padre adorato l’origine della sua perenne insoddisfazione?



CITAZIONI COLTE

Non razionalizziamo: Joe - e il film - lavorano per spiazzarci, anche se per ritrovarsi nel labirinto in cui si è persa la sua Sheherazade, Seligman cita Poe, Bach, i numeri di Fibonacci. Ma il desiderio, soprattutto femminile, non conosce logica. E Joe ha un bel moltiplicare amanti e posizioni, collezionare foto di organi maschili o interrogarsi sulla diversa funzione esercitata da due amanti opposti e complementari (con tanto di amplessi a confronto in split screen, un po’ prevedibilmente). In tanto spreco di umori corporei a restarle preclusa è la dimensione affettiva, la pienezza dell’eros, il dono innato, ma oggi così fragile e raro, di unire tutte le componenti dell’amore e del piacere in una stessa relazione.

È il senso dell’urlo disperato («Non sento più nulla»!) su cui si chiude, provvisoriamente, la prima parte. Ma è anche ciò a cui allude la lunga scena, esilarante, di Uma Thurman. Che irrompe in cerca del marito infedele a casa di Joe portandosi dietro i figli per sottoporre il fedifrago e la sua amante a una implacabile, minuziosa, paradossale scenata che condanna i due amanti a bruciare per sempre nel più lacerante senso di colpa. E al tempo stesso mette a fuoco definitivamente il fulcro nemmeno troppo segreto di tutto Nymph()maniac. Il senso di colpa, appunto.



NESSUNA NOSTALGIA

L’incapacità di godere liberamente del proprio corpo - della propria vita - malgrado la liberalità del mondo in cui si abita (ricordiamo che la Danimarca fu il primo paese ad abolire il reato di pornografia alla fine degli anni 60, e più tardi ogni tipo di censura cinematografica). E in ogni caso l’eterno rimpianto per quel senso di pienezza che sembra svanito per sempre in tempi di permissivismo e consumismo, anche sessuale, assoluti.

Per carità, non fraintendiamo, nessuna nostalgia. Quello è un sentimento che appartiene al mondo cattolico. Il luterano Von Trier (luterano per nascita, non per educazione), cresciuto nella Danimarca antirepressiva e radicale, ha perfettamente chiara l’epoca in cui vive. Ed è di lì che interroga, attraverso le maschere dei suoi personaggi, le sue e le nostre nevrosi. Per questo, nonostante la freddezza di fondo, la furbizia della campagna promozionale, l’utilità solo strumentale della doppia versione, Nymph()maniac merita tutta la nostra attenzione e curiosità.
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