Jimmy P. Commedia sofisticata costruita attorno a un'esperienza analitica

Misty Upham e Benicio del Toro in Jimmy P.
di Fabio Ferzetti
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Giovedì 20 Marzo 2014, 18:35 - Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 15:41
A forza di parlare della bont delle leggi cinematografiche francesi si rischia di perdere di vista la prima qualit del cinema transalpino, garantita da quelle leggi, ovvero la sua incredibile varietà, conseguenza di una libertà d’azione impensabile altrove.



Solo nel paese della sempre invocata «eccezione culturale», infatti, un regista può prendere un classico dell’etnopsichiatria e andarsene nel Montana a girare una specie di commedia sofisticata costruita intorno a un’esperienza analitica, anziché amorosa, con due divi lontani anni luce come Mathieu Amalric e il portoricano Benicio Del Toro. Solo un attento esploratore delle zone di confine poteva riscoprire un etnografo vulcanico ma noto a pochi, specie in Italia, come l’ebreo Georges Devereux, nato nel 1901 a Banat, impero austroungarico (oggi Romania), col nome di Gyorgy Dobò, e sepolto dal 1985 in terra Mohave, in omaggio a quei pellerossa a cui aveva dedicato gran parte della sua vita.

Solo Arnaud Desplechin infine, regista di commedie svitate e serissime su famiglia e identità come Re e reginao Racconto di Natale, poteva intitolare un film Jimmy P. - Psicoterapia di un indiano delle pianure, come il libro a cui è ispirato (uscito nel 1951, inedito in Italia). Con un gesto che non ha nulla di snobistico, oggi che le società multietniche pongono problemi pressanti a psicologi non sempre attrezzati per capire i disagi nati dallo scontro fra culture.

Mentre Desplechin dettaglia con molta energia e un pizzico di ironia l’incontro fra lo «psicanalista selvaggio» Devereux, guardato con curiosità e sospetto dai colleghi, e l’ex-selvaggio Jimmy Piccard. Un indiano Mohave tornato dalla Seconda guerra mondiale con molte ferite nel corpo e nell’anima. Anche se per trovarle, e curarle, ci sarebbe voluto proprio l’eclettico, e elettrico, Devereux. Che ha alle spalle un genocidio (ma il film si guarda bene dal sottolinearlo), e qualche problema con le donne, proprio come il pellerossa.

Dunque prima si guadagna la fiducia di quel paziente afflitto da indecifrabili e violente emicranie. Poi, interpretando sogni e disegni pieni di animali e di simboli, lo riconcilia col suo passato, con i traumi sepolti, con l’altro sesso, con la propria cultura d’origine e con quella d’adozione. Facendoci quasi dimenticare che se il survoltato Amalric è perfetto nel ruolo, Del Toro ha almeno 15 anni più del personaggio e non è né sembra un indiano, diversamente da tutti i comprimari, veri nativi d’America.

Ma questi sono dettagli. Jimmy P. racconta con leggerezza e profondità un caso clinico dall’immensa portata metaforica, senza mai sfiorare la retorica dei biopic e dei film in costume di questi anni. Ed è questo, a ben vedere, il primato più invidiabile.
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