Jean-Christophe Babin: «Il futuro sarà ancora dei mercati emergenti»

Jean-Christophe Babin: «Il futuro sarà ancora dei mercati emergenti»
di Giusy Franzese
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Domenica 21 Dicembre 2014, 18:16 - Ultimo aggiornamento: 23 Dicembre, 13:29
È uno dei settori che ha meno risentito della lunga crisi. E per il futuro le aspettative sono rosee. Il gruppo Bulgari è una punta di diamante del lusso e mai definizione potrebbe dirsi più azzeccata visto che, come è noto, nasce come azienda di gioielli e orologi, per poi allargare la gamma ad accessori di pelletteria, profumi, e recentemente anche hotel.



Dal marzo 2011 il gruppo è stato acquisito dal colosso francese Lvhm che fa capo a Bernard Arnault, e la nuova linfa finanziaria ha dato maggior stimolo alla crescita: secondo gli analisti chiuderà il 2014 con un aumento del fatturato del 12% rispetto al 2013. Jean Christophe Babin è l’amministratore delegato di Bulgari. Si è trasferito con la famiglia a Roma ma in realtà vive in giro per il globo. Al momento di questa conversazione ad esempio è a Tokyo, dopo poche ore - ci informa - ha un aereo che lo porterà in Cina.



La grande crisi non ha sfiorato il settore del lusso. Alla gente comune può sembrare un paradosso, lei come lo spiega?

«In effetti il comparto ha tenuto bene, con crescite medie annue tra il 5 e il 10%. Questo è tanto più vero, quanto più ci riferiamo a gruppi e aziende già ben posizionati prima della crisi. Nel nostro settore il brand, la qualità e la reputazione sono determinanti. La crisi ha portato a un’erosione dei redditi generalizzata, ma mentre i redditi bassi, dovendo combattere con la sopravvivenza, hanno ridotto consumi e spese all’indispensabile, chi aveva - e ha continuato ad avere - redditi e patrimoni consistenti ha ridimensionato le spese extra ma non le ha annullate. Poi non dimentichiamo che i grandi brand del lusso sono molto forti nei mercati extraeuropei».



Ecco, appunto, i mercati emergenti: dopo tassi di crescita imponenti ora stanno rallentando. Tutto ciò, unito alle note tensioni geopolitiche, sta avendo ripercussioni sulle vendite?

«Il contributo dei paesi emergenti alla crescita del Pil mondiale, in particolare la Cina, è stato preponderante in questi anni di crisi delle economie occidentali. La decisione del governo di Pechino di contrastare energicamente la corruzione, ha avuto impatto anche su alcuni segmenti del lusso. Ha sofferto, ad esempio, la vendita degli orologi. E certamente la crisi ucraina qualche ripercussione la sta portando, non dimentichiamo che in Russia c’è la più alta concentrazione di persone veramente ricche. Però bisogna distinguere: una cosa è parlare della vendita di auto come le Ferrari prodotte in poche migliaia di esemplari all’anno a prezzi irraggiungibili per i più, e un’altra cosa è parlare di abbigliamento e accessori di lusso o anche gioielli che costano 3-4-5.000 euro. Il gruppo Bulgari comunque è riuscito a crescere in modo abbastanza forte in Cina e il trend positivo è continuato anche nell’ultima parte del 2014».



Non sembra preoccupato.

«Nel nostro comparto dicembre tradizionalmente è molto importanti per le vendite - in passato gli ultimi tre mesi potevano contribuire anche per il 40% del fatturato - anche se ultimamente il prodotto sta iniziando a destagionalizzarsi. Stiamo tirando le somme in questi giorni, non posso anticipare cifre, ma posso dire che il 2014 per noi è andato molto bene. Nel 2015 sono convinto che faremo ancora meglio. Abbiamo molte novità in cantiere: nuove collezioni, più investimenti, altri negozi. Puntiamo a una crescita a doppia cifra».



E a livello di settore? Il 2015 sarà un anno di crescita?

«Penso di sì. Soprattutto per le aziende più creative, audaci e con prodotti di altissima qualità».



Gli italiani che comprano gioielli lo fanno per il piacere di indossare questo tipo di oggetto o per investimento?

«Il gioiello è sempre stato considerato il massimo del lusso. È spesso un acquisto emozionale. Essendo però l'unica categoria di prodotto che utilizza materiali di altissimo pregio, c'è anche la componente investimento. L'oro e le pietre preziose non perderanno mai di valore, anzi con il tempo si rivalutano».



Qual è la fascia di prezzo che nell’acquisto di un gioiello delimita il confine tra piacere e investimento?

«Il livello cambia da paese a paese, nel caso dell’Italia inizia a essere così per i gioielli sopra i 15-20.000 euro. Chi oggi compra una collana di rubini e smeraldi o diamanti sa che fra 30 anni si sarà rivalutata moltissimo, perché le miniere si stanno esaurendo e sta diventando sempre più difficile trovare pietre preziose di alta qualità. Ovviamente la plusvalenza si massimizza nel caso di lavorazioni accuratissime. Un orologio con bracciale oro e diamanti a serpente Bulgari degli anni '60 è stato venduto all'asta da Christie's a Londra 4 mesi fa a oltre 1 milione di euro, contro un prezzo di acquisto iniziale a valori correnti comprensivi di inflazione intorno a 200mila euro: chi lo ha venduto ha moltiplicato per 5 il valore investito. Non male».



Davvero l’entrata in crisi del bene rifugio preferito dagli italiani, ovvero la casa, e lo scarso appeal dei titoli di Stato, hanno aperto nuovi spazi ai gioielli?

«Se ci riferiamo a cifre sopra i 50.000 euro non è facile dirlo. Resta un mercato di nicchia ovunque nel mondo. In Italia interessa poche centinaia di persone».



Il made in Italy è ancora considerato un atout?

«Il made in Italy resta il brand di maggior prestigio al mondo. L’Italia, a differenza di altri paesi, ha molti settori con alle spalle centri di eccellenza riconosciuti tali dovunque, con un know how indiscusso. Penso alla ristorazione, al design, al settore delle auto sportive. Oltre al lusso, naturalmente, dove Italia e Francia hanno quasi monopolizzato il comparto a livello mondiale».