Hunger Games - La ragazza di fuoco, meno azione, più metafora politica

Hunger Games - La ragazza di fuoco, meno azione, più metafora politica
di Fabio Ferzetti
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Giovedì 28 Novembre 2013, 06:05 - Ultimo aggiornamento: 3 Dicembre, 08:50

difficile essere una star. Soprattutto se non vivete nel mondo di oggi, ma in quella sua caricatura post-apocalittica battezzata col nome latino di Panem.

Dopo aver vinto i suoi primi Hunger Games, l'intrepida Katniss Everdeen si trova infatti in una situazione molto delicata. Se rifiuta la parte di nuova beniamina dei debosciati tutti parrucche e make up di Capitol City, rischia la vita e un'occasione unica per aiutare la sua gente. Ma se accetta rischia di perdere tutto, a cominciare dal rispetto degli umiliati e offesi come lei. E, quel che è peggio, di essere usata dal presidente (Donald Sutherland) per i suoi infami giochi di potere.

La sua vittoria ha infatti galvanizzato gli oppressi, rinfocolando il desiderio di rivolta. Per spegnerlo bisogna che i poveracci continuino a fare il tifo per lei, ma sospettando che sia ormai una dei loro, come spiega il presidente al nuovo Grande Stratega, un ambiguo (ma sottoutilizzato) Philip Seymour Hoffman.

Altra carta decisiva: il presunto amore per Peeta (Josh Hutcherson), cui nel primo episodio Katniss ha salvato la vita. Lei in realtà palpita per l'aitante Gale (Liam Hemsworth), ma non può deludere i suoi fans, che sono anche la sua gente. Inoltre il buon Peeta sa fare ottimo uso della popolarità, improvvisando mosse capaci di spiazzare sia lei sia il presidente... Fermiamoci qui per non guastare la sorpresa a chi non conoscesse già i libri di Suzanne Collins.

Seconda puntata della saga, Hunger Games - La ragazza di fuoco cambia sceneggiatori e regista per assestare il tiro. Ma non guadagna in profondità ciò che perde in novità, anzi. Dalle mani forse poco governabili del sofisticato Gary Ross (era suo Pleasantville), il timone passa in quelle di Francis Lawrence, regista finora dei non memorabili Constantine, Come l'acqua per gli elefanti, Io sono leggenda.

Curiosamente Lawrence (nessuna parentela con Jennifer) manovra con sicurezza il lato politico, ma è piatto e prevedibile sul piano dell'azione. Per non parlare della satira (le folli mises dei ricchi spettatori di Capitol e del presentatore Stanley Tucci, che qui compare pochi minuti). Il risultato finale è a dir poco diseguale. A qualcuno è parso più “adulto”. A noi soprattutto molto più noioso del primo episodio, che sfoggiava un trionfale e scorrettissimo cattivo gusto.