Festival Spoleto, al Due Mondi con la Asti è ironica “La voce” di Cocteau

Adriana Asti (foto Fabian Cevallos)
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Lunedì 8 Luglio 2013, 16:08 - Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 22:23
dal nostro inviato Rita Sala

SPOLETO - Monologo esemplare e doloroso che mette in piazza la solitudine di una donna alla fine di un amore, La voce umana (1930) di Jean Cocteau è servito, in abbinata con un altro celebre pezzo dello stesso autore, Il bell’indifferente, scritto per Edith Piaf dieci anni più tardi, all’atteso debutto di Adriana Asti al Caio Melisso, con la regia di Benoît Jacquot.



Il Due Mondi aveva in carnet questo spettacolo dallo scorso anno, quando fu rimandato a causa di un incidente occorso alla protagonista, e si è quindi raccolto attorno alla Asti (in ottima forma) per salutarne alla grande il ritorno alle scene. Sul minuscolo palcoscenico del Caio Melisso, per l’occasione illuminato solo da un paio di lampade – non occorre di più alla stanza da letto della donna abbandonata, scalza e in vestaglia bianca – l’atmosfera si fa presto angosciante. Lei, altalenante dalla poltrona al giaciglio e viceversa, è appesa al filo del telefono, alla voce del compagno che l’ha lasciata per un’altra ma continua ad informarsi della sua salute, delle serate che trascorre, delle sigarette e dei sonniferi con i quali si abbrutisce.



La Asti dovrebbe o potrebbe, qui, darci dentro con gli smarrimenti, le suppliche, le finte rassicurazioni, il coraggio simulato. Così hanno fatto altre dive, Anna Magnani ad esempio, affrontando alla tradizionale maniera questa tirata sentimentale davvero ghiotta. Invece l’attrice milanese, pur giocando su molti piani - isteria, frustrazione, disperazione, umiliazione – mantiene una tragica ironia di fondo che rende oggettivo, mai caramelloso, lo sguardo dell’autore sulla vita al femminile. Anche nei momenti in cui il personaggio sembra sprofondare nell’autoflagellazione, grazie all’attrice e alle sue spezie, la soggezione procurata dal maschio alla vecchia amante non risulta quindi né ineluttabile, nè, tantomeno, priva di potenziali vie di fuga.



LA VOCE DEL SILENZIO

L’effetto Asti si fa esplosivo nella seconda parte, quando, nelBell’indifferente, la donna al centro dell’azione è una che se la prende con il partner giovane, menefreghista, capace di addormentarsi dietro il giornale sbandierato fin dall’inizio per mettere uno schermo tra sé e le recriminazioni della compagna. Nella stanzaccia d’albergo dove vivono i due, invasa da rumori cronici (l’ascensore, lo sbattere delle porte, lo squillo di un inutile telefono), la sequela di rimproveri e richieste, di aggressioni e implorazioni indirizzata a chi non parla diventa tragicommedia di non comune efficacia.



L’attrice, probabilmente favorita dal regista, trova la chiave giusta per rinfrescare il tutto, rende contemporaneo un discorso universale, ma in confezione datata. Jacquot, abituato al set cinematografico, deve aver assecondato gli accenti quotidiani e la totale assenza di enfasi che caratterizzano una protagonista di per sé portata a non strapparsi i capelli in nessuna occasione, bensì a mantenere una lucidità di fondo fredda e illuminante. Scene di Roberto Platé; costumi di Nicoletta Ercole e Christian Gasc. Il bell’indifferente è Mauro Conte. Successo pieno e cordiale.